Carlo Mattioli nasce a Modena nel 1911, muore a Parma nel 1994. E’ un maestro della pittura italiana del novecento, che ancora in pochi conoscono. Un artista molto amato da poeti come Attilio Bertolucci e Mario Luzi.
I due poeti riscontravano nella sua pittura una sorta di codice rigenerativo del paesaggio.Una nuova possibilità di mirarne gli elementi, il linguaggio, i segni.
I paesaggi di Mattioli sono il risultato di un tentativo di accostamento alla “miniera mistica” nascosta sotto all’evidenza delle cose immediate. Non era un naturalista, né un realista, ma, senza annullare naturalità e realismo, riusciva a rintracciare con le sue visioni il nocciolo magico dei suoi alberi; intorno ai quali il paesaggio si ri-addensava, ri-configurandosi intorno all’albero totem.
In questo modo la visione delle sue opere è come il risultato di un alchimia, in cui la scena del mondo ripristina il suo gioco di corrispondenze; cadenzandosi in immagini in cui la materialità delle cose si mostra nel suo essere scoria e completezza, opacità e chiarezza.
Il non finito di Mattioli è il foglio bianco o la tela lasciata senza colore, per mostrare il processo della materia (della natura) nell’ attimo prima che la visione diventi completa, appagante. L’appagamento per Mattioli resta comunque un qualcosa di transitorio, che contiene in se un falla, una mancanza : l’ “anello rotto che non tiene” di montaliana memoria. In questo spazio non dipinto, in questo lacerto di bianco, si nascondono gli effluvi rizomatici, che dalla profondità della terra salgono in superficie affinchè possa compiersi (manifestarsi) l’oracolare presenza dell’evidenza.
La Dickinson amava ripetere che “il divino non è altro che la realtà (naturale) rivelata”.
La pittura di Mattioli sembra tener conto di questa saggezza, facendo di essa una vocazione costante per la vita, come per l’arte.
Il soggetto-albero ripetuto all’infinito è la dimostrazione che, molto spesso, l’esercizio del fare arte è una vera e propria preghiera. Un modo per ripassare il rosario del mondo, a prescindere da dei e lari, da spiriti o divinità arboree. Per questo aspetto, Mattioli , potrebbe essere accostato all’arte “divinatoria” di Giorgio Morandi che, immerso in una specie di monastero psichico, guardava il mondo da una cella in cui le bottiglie (dipinte a ripetizione) diventano il medium attraverso il quale Morandi si sforzava di “intrattenersi nel mondo”, di scongiurare la “crisi di presenza”
(due rischi sempre in agguato nella vita di un artista che decide di “non voltare le spalle alle cose”, rifiutando di rifugiandosi nelle comodità umane, troppo umane dei suoi simili).
Mario Luzi, dell’arte di Mattioli, scriveva: “...Mattioli è un artista elementare, assorbito dalla osservazione delle forme e degli episodi della natura fino a un certo purissimo grado di immedesimazione sensuale e mentale non mai però fino al punto di comprimere la sua propria misura contemplativa, da farle torto.
Per quella sua elementarità, unita alla rara delizia del suo dipingere (è dei pochi pittori ad averne custodito il gusto) per quel suo affidamento contemplativo a Mattioli è accaduto di cimentarsi in prove che avrebbero dissuaso chiunque, e a ragione: infatti a nessun altro sarebbe stato possibile non soccombere alla ovvietà dell’assunto e alla pedanteria da erborista o da minerologo di certe suites da lui puntigliosamente allineate, le suites dedicate a cespi, pietre, rovi; più recentemente ai cieli. »
Di Carlo Mattioli è in corso una mostra a Roma , presso il Braccio di Carlo Magno , Piazza San Pietro , Vaticano. Fino al 13 novembre 2011.
Antonio D’Agostino
il sito ufficiale : http://www.carlomattioli.it/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1
2 pensieri riguardo “Carlo Mattioli. Il poeta dell’albero e del paesaggio”