Questo corpo malato

Viviamo distesi e in movimento su un corpo malato: la nostra penisola italiana. Un corpo geografico che avrebbe necessitato di cure, di attenzione, rispetto. Siamo riusciti a ridurlo in un enorme deposito di volgarità, nefandezze, abusi.

Il corpo malato dell’Italia è pieno di ferite da cui erompono lave di fango che, spesso (troppo spesso), si mischia con il sangue di persone inermi, imprigionate, schiacciate tra la terribile innocenza delle forze della natura.

Mentre questo Corpo lacera corpi umani, noi a cosa pensiamo?! Allo sport nazionale sempre più bulimico di soldi, che centrifuga nella sua ruota milioni di esistenze; ai grandi fratelli che rimbecilliscono anche i vermi; alle latrine presidenziali che ci calamitano sempre di più in un falso mondo di godimenti morbosi.

Il paese dei mille paesi è stato da noi trasformato in una grande trappola. Una trappola con mille bocche che dal sottosuolo inghiottono vita-vite, milioni di bocche per milioni di corpi in bilico tra una esistenza elettrizzata dal virtuale e un anima svuotata di sacralità.

Noi italiani siamo gente da trasferire altrove, in un luogo lontano dalla terra, al cospetto di divinità giudicanti, che matterebbero fine alle nostre scelleratezze affliggendo a noi condanne precise: violazione per violazione , abuso per abuso.

Abbiamo bisogno di un luogo purgatoriale, dove svuotare il nostro involucro insulso di tutti i veleni che abbiamo ingurgitato in mezzo secolo di “benessere”.

Nessuno è salvo di fronte alla legge invisibile di tutti i genius loci che abbiamo cancellato: distruggere un campo coltivato per un capannone o un ipermercato; cancellare le tracce di antichi pagus per un acqua-park; tombare sotto ad un coperchio di cemento interi corsi di fiume, un tempo sacri agli antichi popoli italici.

Il nostro paese sta scontando le pene di un malanno che milioni di virus famelici gli hanno causato.

Non è possibile continuare a stare su questa giostra impazzita che, mossa da un mercato folle, ci sta alienando, distanziando , atomizzando. Sta facendo in noi  spegnendo l’umano, con la sua scheggia di sacralità, dai nostri corpi. Non viviamo più nella psiche. Siamo orridi, orribili, zombi.

Di fronte a queste nostre procurate miserie, non ci resta che praticare un fermo sacrale. Ci dobbiamo fermare, scendere dal bordo di questo imbuto folle. Ci dobbiamo fermare. Dobbiamo smetterla di frullare come topi su questo pezzo di pietra. Fermarsi per poi percepire che si è “in vita”, che l’”habitat è inospitale”, impaziente, che può annientare un corpo come mille se ancora continuiamo con le nostre baldanzose “magnifiche sorti e progressive”.

Non di un minuto di silenzio ha bisogno il nostro paese per le retoriche lagne dopo il disastro, ma di un lungo “intervallo” di riposo, per affrancarci dai commerci impazziti e disumani.

Lasciamolo respirare il nostro paese. Ritorniamo ad accarezzare le sue pietre. Sentiamo la sua presenza, e la nostra in essa.

C’è tempo per un riposo. Ci sarà il tempo per imparare a ri-accudirlo, a curarlo?

 Antonio D’Agostino 

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