«La mia lingua o, meglio, il mio linguaggio,
la mia sintassi, anche, deve spalancare universi».
Emanuele Tonon è nato a Napoli nel 1970 e attualmente vive in provincia di Gorizia. Il suo esordio letterario è del 2009, anno in cui pubblica Il nemico per Isbn. Dello stesso anno è il premio Esor-dire. Cresciuto con le poesie di Ungaretti, si definisce teologo-operaio. La sua ultima pubblicazione è La luce prima, sempre per Isbn.
Da un’intervista di Vicolo Cannery, in occasione dell’uscita de La luce prima:
Quale percorso ha fatto il tuo primo libro per arrivare alla pubblicazione?
Ho semplicemente inviato il file all’indirizzo mail visto sul sito della mia attuale casa editrice, Isbn edizioni. Mi ero innamorato dei libri di Isbn, in libreria (quelle bordature colorate, quel logo apocalittico). Allora mi ero detto: magari questi mi potranno capire. Il file dormiva da cinque anni, fatto, strafatto e finito, in uno dei miei hard disk. Ah, dimenticavo, ho trovato la forza di pigiare il ditino sul mouse (mi pare che compaia, a schermo, prima di pigiare il ditino, una cosa tipo “invio”, ora non ho ben presente, perdonatemi, è passato tanto tempo) appena finita la lettura della seconda versione di Lettere a nessuno di Antonio Moresco. Null’altro.
(…)
Cosa provi nei confronti del tuo libro da quando è stato pubblicato?
È mia/o figlia/o. So che devo lasciarlo andare, ma non ci riuscirò mai completamente, come, appunto, è impossibile per una madre vera lasciar andare la propria creatura. Sono madre dei miei libri, non padre.
(…)
La luce prima è un libro in cui offro il fianco a chiunque. A chi mi voleva intellettuale sopraffino e a chi mi voleva contadino alfabetizzato. Lo dico da un po’ ma ora smetto di dirlo che questo libro è frutto di un’urgenza consegnata alla letteratura. Mi ha portato dove non volevo andare. È un salmo di centoventi pagine. Il salmista attraversa lo sterminio di sé, la notte intollerabile, le ossa che gli si sfarinato e arriva alla lode, al ringraziamento, all’alleluia, al canto che supera la ragione, al canto del bambino. Non racconto il macabro, non bestemmio, non prego, semplicemente canto, in questo libro. Canto il superamento della morte, questo libro è un inno alla vita, è l’osanna biblico che dice: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?». Mia madre ha sconfitto la morte mettendomi al mondo contro tutto e contro tutti. Mi perdonino i grandi letterati impestati di ideologia, i burocrati delle lettere, se, scrivendo di questo, tanto ho osato.
In che modo la struttura particolarissima della tua lingua letteraria è importante in ciò che scrivi?
Non sono un giornalista, non sono un comunicatore, non devo solo trasmettere informazioni il più possibile vicine alla verità (verità che è sempre impossibile, nella comunicazione umana). Sono uno scrittore. La mia lingua o, meglio, il mio linguaggio, la mia sintassi, anche, deve spalancare universi. Quello che importa è la pagina. Il resto, eh, il resto? Ha importanza il resto, esiste?
Dalla lettera di Antonio Moresco a E. Tonon del 22 settembre 2011
Caro Emanuele,
ho appena finito di leggere “La luce prima”, che mi ha completamente conquistato. Mi è stato chiesto se volevo scrivere qualcosa su questo tuo secondo libro. Lo faccio volentieri. Ma questa non è una recensione, è una lettera. Perché questo non è un libro che, a mio parere, si possa e si debba recensire. Non perché non abbia forza letteraria, perché anzi ne ha molta (…), ma perché – per quanto mi riguarda – sono altre le cose che, leggendo il tuo libro, mi hanno fatto insorgere. Immagino che un libro così, con tutto il suo carico di dolore e di sbilanciamento emotivo e di incontrollabilità confessionale, possa apparire imbarazzante ad alcuni dei suoi lettori, che possa sembrare troppo “esibito”, troppo “sdolcinato”, mentre altri -puoi starne certo- ne faranno un lacrimevole libro-melassa edificante, per portare acqua al proprio orribile mulino religioso istituzionale. Io non sono di questi. Ti dirò anzi che mi sembra superiore al tuo primo libro. Hai scritto quello che dovevi scrivere e non te ne è fregato niente di tutto il resto, che è poi l’unico modo di scrivere i libri che vale la pena di leggere, di qualunque tipo essi siano. (…)
Ho letto nelle righe di biografia che ci sono all’interno del libro che tu sei nato nel 1970. Che cosa strana e inconcepibile è questa illusione che abbiamo chiamato “il tempo”! ho pensato. Tu in quell’anno stavi venendo fuori a capofitto dalla pancia della tua madre Madonna e martire, io avevo 23 anni e mi spostavo da una città all’altra come un’esaltata anima in pena inseguendo cupe illusioni, dando quest’altra forma al mio dolore di essere al mondo. Io ero già fatto, la mia scatola nera era pronta, tu stavi venendo fuori con la tua scatolina nera appena formata in una mano, tutti e due su questo piano inclinato che abbiamo chiamato “tempo”, su cui non ci si incontra mai con chi ci si dovrebbe incontrare. Noi non vediamo niente, vediamo solo questo grandinare di proiettili di carne che vengono giù al buio e con gli occhi chiusi, da tutte le parti.
Che cosa farai d’ora in poi? Che libri scriverai? E’ da un anno che devo venire a trovarti e che non riesco a trovare i pochi giorni necessari per farlo, perché la mia vita è tutta attraversata da illusioni o pazzie che si mangiano tutto il mio tempo (…). Quando ci riuscirò? Questo autunno? Questo inverno? La primavera prossima? Chi lo sa! Però vedrai che, in un modo o nell’altro, prima di crepare ce la farò a venire da te.
Un forte abbraccio. Antonio
Antonio Moresco ed Emanuele Tonon ( a destra)
Sto leggendo da qualche ora Terracarne di Arminio, comprato stamattina a Nuoro.
Ho appena scoperto questo vostro ricchissimo blog. Sto scoprendo, tutto in un giorno, un mondo di persone che non conoscevo e che mi interessano.
Mi sento bene. Era un po’, che non mi sentivo così bene.
Saluti dall’isola.
Se volete, qui potete leggere un mio breve fumettino:
http://issuu.com/angelo-monne/docs/angelo_monne_una_cosa