terracarne secondo cortellessa

metto qui la recensione a terracarne uscita oggi su tuttolibri. su la stampa era già uscita una lunga recensione di belpoliti. ne approfitto per ricordarvi di dare uno sguardo al post “riunione” e depositare un vostro cenno. a metà settimana tiriamo le somme. gli strumenti in rete necessitano di una messa a punto molto veloce, bisogna essere veloci…

abbiamo fatto un buon lavoro in questi mesi, il blog ha molti lettori, ma ora è necessario definire un gruppo di lavoro ben definito. per ora siamo cinque. un caloroso abbraccio a tutti gli amici vecchi e nuovi.

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Ha spiazzato alcuni

degli aficionados l’uscita di

Franco Arminio nelle mondadoriane

«Strade blu». Questo

tormentato poligrafo irpino pareva

infatti consegnato alla

marginalità, alla postura – a lui

così cara – del «cane bastonato

»: uno sguardo rasoterra,

senza pretese «letterarie» né

«intellettuali» (nel documentario

di Andrea D’Ambrosio Di

mestiere faccio il paesologo, DeriveApprodi,

dvd e libro, e15) lo

si vede sdraiato su un sagrato,

a prendere un pallido sole autunnale:

«mo’ pensa, se io facevo

il senatore mica mi potevo

mette’ così»). Postura che gli

ha però consentito una magnifica

resa formale nonché di dire

– sul suo Sud – verità distanti

dalle vulgate meridionaliste

(conquistandosi l’interesse di

architetti, urbanisti, geografi).

Ma l’inopinato approdo al

centro del sistema editoriale

non ha mutato il suo sguardo.

Dice una delle poesie allegate al

video di DeriveApprodi: «è sempre

sull’orlo, / ma gli manca il

precipizio». Proprio il suo arrestarsi

all’orlo, al margine (in senso

tanto psichico che geografico)

è il diapason che garantisce a

questa prosa di risultare, sempre,

accordata a perfezione. Viene

in mente Kafka: «l’unico modo

di sfuggire all’abisso è di guardarlo

e misurarlo e sondarlo e discendervi

». Non sfugge Arminio

all’abisso del suo esistere, al dissesto

del corpo e della terra – come

non sfuggiamo noi al nostro.

Ma, nominandolo dai bordi del

«cratere», ci indica come affrontarlo.

La copertina accosta decine

di foto di porte chiuse, collezionate

da Arminio in anni di vagabondaggi

«paesologici». Case abbandonate

dagli abitanti, che hanno

spopolato i luoghi d’origine, oppure

sbarrate dal loro «autismo

corale». Dice il filosofo Franco

Cassano nell’introduzione al suo

libro precedente, Oratorio bizantino

(Ediesse, pp. 155, e10): «il

suo sogno è quello di un paese capace

di ritrovare se stesso, i propri

legami, capace di uscire dalle

case, di aprire quelle porte chiuse

». Quando si scrive «paese», insomma,

è con la maiuscola che si

dovrebbe farlo: non è solo l’Irpinia

(o l’Abruzzo sfasciato e offeso).

Ma questo «andare fuori,

verso l’esterno» è pulsione non

solo e non tanto «civile» (fra tutte

le virgolette del caso): «il dispiacere

per una cosa», scrive

Arminio, «è sempre dispiacere

per qualcos’altro». E confessa:

«Parlo della morte dei paesi, ma

il mio tema è la morte, la mia

morte». La vera uscita è quella

da sé: «bucare l’osso e uscire,

scappare fuori dalla vita e dunque

anche dalla morte».

Èun bordo, Arminio, in molti

sensi. Scrittore cupo, quasi tetro

a volte, è sempre però magnificamente

arioso. Abbrunato, a tratti

nerissimo, non perde mai una

sua inimitabile grazia. Il titolo,

Terracarne, è preso da ungrande

fratello da poco definitivamente

uscito, Andrea Zanzotto. Ma lo

sguardo di Arminio amefa venire

mente anche l’esergo da un’altra

poesia di Vocativo, dal poeta

prelevato da «un muro dicampagna

»: «ed io come un fiore appasito

guardo tutte queste meraviglie

». Non riusciamo ad aprirci

alla meraviglia dell’esistente se

non «appassendo», almeno un

po’, le nostre pretese di fiorire rigogliosi.

Arminio è uno dei pochi

ad avere questo coraggio.La sua

«bandiera bianca» – ostentata

con paradossale stoicismo – non

è mai, davvero, arresa del tutto.



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2 pensieri riguardo “terracarne secondo cortellessa

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