Cantico di stasi 2011- 2012

metto un cospicuo gruppo di poesie di Marina Pizzi.

il nostro blog è molto apprezzato oltre i nostri monti. bene. andiamo avanti. per tutto il mese di febbraio avrò molti impicci. spero di reincontrare gli amici a marzo, a caserta.

armin

 

 

1.

in un ospizio di foglie

la pigrizia dell’angelo.

si secca la gioia di dio

pertugio di lacrime.

incline al giocondo arenile

balbetta d’eco la conchiglia.

in mano all’armonia dell’inguine

resta la giara senza l’olio santo

prosciugato dal resto del mondo.

mandami un calesse avrò già pianto

nel dilemma scortese del fango.

è tutta qui la resina del dubbio

quando la casa crolla tutta sicura

di stare in piedi. i duri fratelli

hanno lasciato la casa dopo il saccheggio.

in un tuono di vendetta la scaturigine

del sacco chiuso a bomba. intorno le vipere

spasimano gl’intrecci. l’ironia del vicolo

spadroneggia sugli amanti senza riparo.

2.

quale imbrunire mi offuscherà la fronte

nella schiera di nuvole nemiche

scacchiere senza angeli di fianco.

oggi il diverbio è pastore di se stesso

quasi un convulso esodo di stasi

verso l’ombra che per tutti c’è.

in un buio di casale voglio l’occaso

della pace. in primavera si addice

la mia voglia di avverare aiuto

almeno alle fontane senza acqua

battesimali di cenere per sempre.

la croce sulla fronte non basta

il salario di essere felici, anzi

la casta delle ronde tonifica il demonio.

i prìncipi sono pochi e i sudditi

immensi. così lo stato delle fosse

vive, lo stato del dominio delle cose

fatte ad arco per castigare meglio.

3.

posso dormire una notte di scalee

quando le donne con lo strascico

giocano a copiar principesse.

presepe laconico guardarti

dentro il cullare delle darsene oleose

materne quanto un albero di riva.

in mano alla questura di dare appello

la turba che bada la scommessa

di perire sasso senza turbe

né baveri alzati da ubriaco.

4.

così si dice pianga la lucciola

quando la manna si fa spazzatura

presso la porta dorata del folletto.

il bimbo gioca a se stesso da piccolo

ma non lo sa e non è felice appieno.

si sa che è uno zero lunatico questo

tuo perno senza cibo sfinito nella ruggine.

nella sabbia che fatica le staffette

corre la fiamma a cercar di amare

le zuffe di ferrosi amanti.

in un duetto di fragole di maggio

invento le gole di fratelli golosi

così noiosi da sembrar gemelli.

l’arena di truppa non fa finir la guerra

né la buona cucina invita qualcuno

per esorcizzare il rantolo.

la pagnottella con il prosciutto è leccornia

da altare. tu inventa una steppa che

sappia grilli parlanti come le gemme

delle favole. dividi con me questo

cimitero acquatico di fuoco. io non

voglio chiamarmi più marina né in altro modo.

5.

ho imparato a giocare con le statue

in grandi mari a tuffarci insieme

inguine di donna la marea

sotto la guerra di perdere i bambini

in preda alla resina dei barbari.

in mezzo all’avarizia della bara

sono rimasta cenere sgraziata

dai sassolini dei venti più potenti.

in mano alla paglia dei falò

da viva imparai le ceneri

le belle faville che non smettono.

i cortili dei vivi avevano altarini

acquitrini per i pesci rossi

non peccatori i miti degli amori

aperti a mo’ di libri sui davanzali.

in barca sulla fronte dell’anarchia

la chela del granchio non osò toccarla

anzi si ritrasse per un fido di elemosina.

6.

La finestra dello scontento

 

 

lungo le rotte del mio sacrificare

la calca della palude. nell’interno

del diamante vedo il cestino

delle inutili stimmate. sono molto a soffrire

questo marziano d’ansia.

indarno gli appunti non spiegano

la disgrazia delle mosse senza rispetto

le malizie che contengono l’arrivo

sulle supplenze del vento sempre contro

il beneficio del faro tutto stante.

in gara con la rondine che vince

si ritiri la noia che dà da piangere

al cinereo bastone del basto dentro.

qui si immola l’avarizia del contendere

solo acquazzoni con le morse delle gocce.

in mano alla pietà della risacca

le scorie nelle mani sono l’affetto

di gente morta nel giardino delle meraviglie

così si dice nelle fole di vinti talami.

la paura del soldato è lo steccato

dinamitardo. qui se ti affretti a scappare

apra la sorte il vento e l’avarizia crepi.

7.

quale bistro truccherà il mio zaino

in perla d’indovino finalmente

per correre alla maniera dell’atleta

con la lancia in resta e la corona in testa.

nulla parlerà di regole oceaniche

visto che lo stagno piange fanciullo

e la pallottola ha trascorso la nuca.

così morta la ciurma della ronda

nulla potrà cantare alla madre del bivacco

l’accomodo di dirle una pietà.

alla cometa del rantolo maniaco

si scomoda il respiro per spirare

la corta moda di morire sùbito.

in mano al dado del sicario

si ottenebra la calce del loculo

quale più oscuro anfratto di bracconaggio.

in mano alla caduta della rotta

faccio ammenda di me nei secoli

per le placente irrise che non ebbi.

8.

dio di cancrene stare zitto

sul filo del rasoio come abaco

atto al rasoterra. l’alone della terra

è fiato smesso pronto per il sottomesso

fato di sospiro. e sempre rantola il guasto

della conca in culmine di oceano. iddio

canuto questo scempio fiumara di fumo.

addio al sasso che giocò al vetro rotto

dentro il cortile d’infanzia. è giara di veleno

l’alunno zoppo che non può scalciare

contro la poca aureola del sogno.

in lutto guarderò la sedia vuota

dove rantolò la scherma di Ulisse

il bel cerchio di restare vivi.

in fondo è un cipresseto anche l’annuncio

di chiamarsi al dondolo. muore la spada

d’accatto quando giocare sfuggiva la cavia.

oggi si accantona il bacio

per un giro ancora.

9.

mi metterò l’occaso in riva al sangue

e capirò perché la luna è piena

o spicchio di capestro. l’alunno saturnino

della pena gravita una roccia. dove da oggi

è turno di scempio prestare il rantolo

occludere la fiaccola del coraggio. in stato di

omuncolo regalo assiomi miracolosi

d’asma. eppur domani sia consono

il re del soqquadro per la caligine

del retro stato. un fato di nebbia

mi epuri l’odio. non basta raccontarsi

un enigma se la storia è dio. è da sùbito

l’urto con la fossa certa. d’animo e conclave

non avrò amore nel furto di esserci. la cenere

d’olimpio dove si culla il sole senza speranza.

e la darsena si acclude all’osso di sterco

al comignolo che ottura il cielo

verso la rottura col mito. in fase maschia

non sarà riscossa espugnare il rantolo.

10.

finalmente avrò un bottone d’agio

finalmente. e dietro l’ambito delle vene

rosse non ci sarà più il sangue, ma la fine

dolcissima della vita. nel ginnasio degli angeli

voglio andare dove la pena non è neppure

un ricordo. nelle scalee di prìncipi e tiranni

resta l’odore della morte per il popolo dei

gioghi. gigli secchi comprendono le tombe

quando nessuno si ricorda più

di quali stati fu il cruciverba e la badata

stasi di dormire raccolti in un apice

di piume. lo sterzo è la vendetta del morente

con urli o silenzio secondo la paura.

immersi in un letamaio di giullari

si contamina restare stamberghe di sé.

11.

lasciami andare a un sinonimo di eclissi

dove l’abaco conti solo miti

e siluri di alfabeti miracolosi

dove la cornucopia è sazia

e la viltà non ha indici

né sbagli di scommesse.

intagli di meraviglie starti a guardare

nell’eremo che soqquadra le pianure

perdurando le eresie del bello

sotto le cimase dell’esodo folclorico

e le rotte evangeliche del sorriso.

indarno il quadro scoppia di bellezza

se questo deserto è prova di catrame

e la trama del foglio perde la scrittura.

il trono maniacale dell’estetica

espunge il costato dell’arsura

questa bravura di piangere per sempre

nonostante le zeppe sotto la lavagna.

il crudo amore inguaia la progenie

misfatto editto per la solitudine

tutte già belle le turbe delle spose.

12.

mia madre è morta di strano cuore

una maretta intrisa di preghiera

la mia di sapida bestemmia

dove la pietà si annulla in urlo.

in un covo di rettitudine blasfema

ho sopportato l’agonia la gogna

dell’attesa e il silenzio finale.

con un pellegrinaggio di lenzuola

la giornata si fa atroce come la purea

di tutti i giorni e le cibarie pessime.

escludo da me la veglia della gioia

questa vanga di fanga e di gran fuoco

quando i fiori si gettano per terra

a piramide profumata. si toglie tutto

anche la croce per la cenere maligna.

resti o svapori poco importa alla baldanza

di lucciole letargiche e fuochi fatui.

i lavori degli uomini continuano

a trasportare morti per furti futuri.

si ruba ai morti tanto non costa niente

e la baldoria non barcolla un attimo.

13.

l’arringa del salice piangente

ingenera chissà quale soccorso

verso il sudario della donna in lacrime

sul crimine d’intendere l’area del pozzo.

quale dolore t’infilzò la milza oh fratello

del bosco? quale scoscesa realtà

volle sedurti al panico? intùito vederti

ormai che morta fu la nenia di

baciarti oltre. così commosso l’antro

del mio bene non trova strada sul dazio

del sale. ora me ne andrò per far cometa

il sogno. al vespro la madre non rincasa.

tu sapevi che piangere è morire lungo

la rotta del salario chiuso. misure d’asma

non trovarla più.

14.

vado all’espatrio ogni notte

con un tatuaggio nel cervello

botta e risposta senza fine

la mia carriera visitata da ferri

arroventati. nei denti un faro

di conchiglia. una perplessa

aurora quanto un cimitero

divelto. miserere del respiro

continuare la scansione del

tempo. vocativo d’estro volerti

accanto. camminami sul petto

abbi pietà del mito che ci rese

fragili. passa la vendetta un canestrello

di vespe. la grazia occulta della siepe

è un buon cammino nonostante

non sapere l’aldilà. incudine di putti

verremo uccisi tutti.

15.

qui si sale in coda all’erba vinta

alla riscossa che non sa di niente

né di pane azzimo la scuola.

il perno della foce è dietro l’angolo

una madonna in estro di fallacia

per un girotondo di perle senza

viottolo. si sta conserti mappamondi

in torto sull’occaso di dar spallate al mondo.

16.

al caso del mio cantuccio si cammina

a vuoto. fantasma di rovina accavalla

le gambe come una signorina. inganno

in camice chirurgico non sa operare

la rima con la vita. tacita piange la zucca

delle ceneri parenti, padre e madre simili

al cemento. urlo l’uno silenziosa l’altra

la cuccagna dell’aldilà è da vedere

con l’esame dei bocciati. le spalle ordinate

di soldatini morti. le cicale hanno smesso

per pietà di far tormento al calco dell’estate.

intruglio di penombra questa perpetua

stasi. sentire addosso le resine è cimelio

d’altitudine contro la pozza del seminterrato

d’oggi. ordigno di cometa sapere le regole

del tempo vetuste come la luna presa.

17.

le gambe affusolate dell’origine

incutono un rispetto solitario.

l’indagine di me si fa all’oscuro

dove tramonta l’ebete maligno

e si ristora la belva addormentata.

in un canestro di vuoto il lamento

della giacca lasciata lungo il viale

nero di cornacchie di malaffare.

una cura a salve mi promette pace

cornucopia di ragnatele per salvare

l’eco del tunnel che fa stramazzare

i passeri e i velluti delle spose.

in me silente la bramosia del secolo

consacra bancarelle di molestie

per le stelle che non riescono a salire.

indagine di cometa starti a guardare

alunno che non seppe la lezione

né il rospo cavernoso da salvare.

 

3 pensieri riguardo “Cantico di stasi 2011- 2012

  1. Poesie da leggere, rileggere e rimeditare a lungo, hanno bisogno di essere interpretate dal respiro interno del lettore che vi posa lo sguardo. Ad ogni modo, bentornata poesia sul blog. Se se ne leggesse e se ne commentasse di più e meglio non sarebbe male.
    Ah, un’anticipazione, Sabato prossimo al Bad Museum di Casandrino “Poeti in Zona”, con Maria Grazia Calandrone, Bruno Galluccio e Luigi Trucillo.

  2. C’è un’elettricità resinosa in questi versi e alcuni brandelli sono meravigliosamente insolubili … nel dilemma scortese del fango \ le zuffe di ferrosi amanti \ la disgrazia delle mosse senza rispetto \ in mano alla pietà della risacca \ l’arringa del salice piangente

Rispondi