Gli Italiani non conoscono bene la loro storia e gli italiani del sud ancora meno. Mi capita spesso girando nei paesi di trovare qualche targa di cui nessuno sa dirmi niente. È come se la memoria si fosse fermata a Mike Bongiorno e all’avvento della televisione. Quasi sempre nei paesi c’è lo storico locale, ma spesso ha le idee confuse. Quello che manca è una consapevolezza diffusa di quello che è accaduto, specialmente nei momenti più significativi. In Campania questo momento copre un arco che va dalla rivoluzione napoletana del 1799 fino al passaggio garibaldino.
Storie di ardori rivoluzionari e di miserie clericali, storie tristissime in cui le intelligenze più illuminate trovano i peggiori nemici nella plebe. Un groviglio di eventi che ha come epicentro il Cilento e il vallo di Diano. Venivano da questa terra molti degli intellettuali napoletani della rivoluzione trucidati dai borboni.
Quando si va in vacanza nel Cilento è il caso di ricordarsi che ci si trova in un luogo importante della storia d’Italia. In quei piccoli paesi c’era e c’è ancora una bella fibra morale. Le rivoluzioni di allora non andarono a buon fine, ma il Cilento è un sud non completamente abbrutito. Pollica, Auletta, Salza, Padula, Sapri e i tantissimi paesi grandi quando il pugno di Polifemo non sono la stessa cosa dei paesi giganti della pianura intorno a Napoli e Caserta. Stanno nella stessa regione, hanno da decenni lo stesso malgoverno regionale, ma l’atmosfera è diversa. Basti pensare a cosa è diventato il mare nel litorale domizio e a quello che si trova pochi chilometri più sotto, tra Acciaroli e Palinuro.
Sarebbe una buona pratica se si trovasse il modo di raccontare ai turisti la storia di luoghi ancora tanto belli. Andare a Padula per vedere la Certosa e per sapere la storia di Carlo Pisacane e anche quella di Petrosino. Oltre alle vicende del mezzo secolo che precede l’unificazione italiana, il Cilento è anche una zona capitale delle varie ondate migratorie. È un fatto che dal Risorgimento fino ai giorni nostri la grande ferita dell’emigrazione non si è mai arrestata.
Oggi per essere buoni meridionali è bene capire cosa è successo. Guardare alla nostra storia senza mettere ridicole casacche per cui i briganti sono eroi o delinquenti. La rappresentazione del regno piemontese che abbiamo letto a scuola risentiva di una sorta di fotoshop ideologico teso a esaltarne virtù e nascondere difetti. Ora il gioco si è ribaltato e pare che il regno di Napoli fosse la mecca del buon governo. E allora tra i borboni e i piemontesi io scelgo il Cilento. Scelgo Vincenzo Lupo da Caggiano, avvocato, giustiziato a Napoli il 20 agosto del 1799. Scelgo Nicola Maria Rossi da Laurino, professore dell’università, giustiziato a Napoli l’otto ottobre del 1799.
Non tutte le nazioni sono uguali e non tutte le regioni sono uguali. Si può amare l’Italia per le sue diversità e credere che il crimine maggiore che abbiamo commesso contro questa nazione sia stato quello di piallare le sue differenze. L’omologazione consumistica di cui già parlava Pasolini, l’ossessione della crescita, lo sviluppismo senza cultura ha fatto danni enormi anche nella vastissima provincia salernitana, basti pensare all’indegna bolgia urbanistica dell’agro nocerino-sarnese o alla villetteria spuntata in pochi decenni su quel meraviglioso panno da biliardo che è il vallo di Diano, però nel Cilento qualcosa ha fatto resistenza, qualcosa c’è ancora. Mi piace pensare che sia una resistenza che venga proprio da quei semi di civiltà che allora furono repressi e che tuttavia appartengono al dna del popolo cilentano. Volendo si può andare ancora più lontano e si può pensare a Velia e alla scuola eleatica fondata da Parmenide e portata avanti dal suo allievo Zenone.
Oggi parlare di sud significa parlare di queste cose e farlo insieme alla denuncia della miopia piccolo-borghese che ha spostato a valle interi paesi, secondo un modello che ha i suoi fasti massimi in Calabria, ma che è già ben visibile nella cilentana Sala Consilina. Il sud sono gli intellettuali della repubblica napoletana e i contadini di Sanza e il prete che li avvisò dell’arrivo dei “briganti”. Il sud è Giordano Bruno e i sanfedisti. Bisogna scegliere da che parte stare. Ora come allora. Ora più di allora. La parola in cima all’agenda volendo è sempre la stessa: rivoluzione.
franco arminio
È anche mio questo sud.
spero di non apparire ozioso se noto la differenza di toni nella descrizione del cilento che risulta da terracarne, dove sembra un luogo sbiadito privo di fascino. caro franco, puoi spiegare questi due diversi e quasi opposti approcci?
Condivido lo spirito di fondo e l’impostazione di questo articolo di Franco.
Tuttavia vi sono alcune imprecisioni che – in questo clima avvelenato di localismi etnici, insufflati dagli etnorazzisti della Lega Nord a piene mani da più di un ventennio nel nostro tessuto sociale- rischiano di confondere ancor di più le acque e di fare il gioco proprio dei secessionisti.
Procediamo con calma:
Franco, quando affermi “Le rivoluzioni di allora non andarono a buon fine, ma il Cilento è un sud non completamente abbrutito. Pollica, Auletta, Salza, Padula, Sapri e i tantissimi paesi grandi quando il pugno di Polifemo non sono la stessa cosa dei paesi giganti della pianura intorno a Napoli e Caserta. Stanno nella stessa regione, hanno da decenni lo stesso malgoverno regionale, ma l’atmosfera è diversa. Basti pensare a cosa è diventato il mare nel litorale domizio e a quello che si trova pochi chilometri più sotto, tra Acciaroli e Palinuro.”, detto in questo modo, cioè involontariamente contrapponendo due aree geografiche senza accennare minimamente al perchè socio-economico delle differenze – io credo che – NONOSTANTE LE TUE OTTIME INTENZIONI – fai ingenerare lo stesso pregiudizio leghista che dice che, se la situazione del litorale domizio nella pianura Casertana è quella che è, in fondo la colpa è di quella gente.
Ora, a proposito di ardori rivoluzionari e di Repubblica Partenopea del 1799, forse tu non sai che lo zoccolo duro di quella rivoluzione, in termini non solo di intellettuali teorici, ma anche di militanti e di gente umile che vi ha partecipato e vi ha creduto fino al sacrificio della propria vita, lo zoccolo duro, dicevo, è stato fornito proprio – guarda un po’ – dalla cintura di Terra di Lavoro, a ridosso dell’area napoletana: non voglio qui citare Domenico Cirillo, Mario Pagano (Grumo Nevano- Napoli), Francesco Bagno (Cesa- Caserta), tanto per dire i più conosciuti, ma ti assicuro che l’elenco è lunghissimo.
Nel 1999, in occasione del duecentesimo anniversario della Repubblica Partenopea, cioè tredici anni fa, in omaggio a quanto tu ora sostieni in questo articolo, ho organizzato e finanziato un progetto eseguito e gestito dai ragazzi della Scuola Media di Succivo con i loro professori, basato sulla ricerrca d’archivio di tutti coloro che nei nostri paesi hanno aderito alla e sostenuto la Repubblica partenopea: da Succivo, Sant’Arpino, Orta, Cesa, Grumo Nevano, Sant’Antimo, Aversa eccetera l’elenco è lunghissimo, e i condannati a morte in questi paesi, schieratisi non con i sanfedisti ma con i rivoluzionari, è altrettanto lungo ; fra gli altri vi è anche un mio omonimo, tal Salvatore D’Angelo da Succivo, bracciante analfabeta condannato a morte in quanto “delinquente comune che ebbe a uccidere il curato di Casapozzano”: in realtà era il capo della rivolta bracciantile contro il feudo dei Capece-Minutolo, il cui curato era la spia e braccio clericale locale per conto della corte borbonica. Ma tant’è, lui povero e analfabeta, non ha avuto l’onore e il riconoscimento dell’Ammiraglio Caracciolo, “impiccato con tutti gli onori militari”.
In sostanza, voglio semplicemente dire che è difficile scrollarsi di dosso uno stigma negativo che ci perseguita da quando è prevalsa definitivamente” l’in/civiltà dello spettacolo” anche nell’informazione.
Si parla del Sindaco di Acciaroli ucciso dalla delinquenza organizzata , lo si esalta e si fa bene, benissimo. Ma nessuno parla di o ricorda Antonio Cangiano, Sindaco Pci di Villa Literno che sul finire degli anni ottanta fu gambizzato dai camorristi per essersi opposto con decisione a ogni intimidazione; si parla sempre poco di Don Peppino Diana, prete di Casal di Principe, barbaramente assassinato nella sua sacrestia il giorno del suo onomastico il 19 marzo del 1994, per aver suscitato un grande movimento di opinione e di lavoro contro la mentalità camorrista, che ha dato ottimi frutti; nessuno parla di o ricorda tutti i giorni – come si dovrebbe – Federico Del Prete, umile sindacalista dei mercatanti – trucidato dai camorristi a Casal di Principe, perchè fece mandare in galera il vigile corrotto di Mondragone, affiliato ai La Torre, e mise un suo ufficetto proprio a Casal di Principe; nessuno accenna alle manifestazioni anticamorra svolte proprio a Casal di Principe, non una ma svariate volte, con migliaia di partercipanti; e dei tanti, tantissimi che svolgono un lavoro di contrasto e di testimonianza civile a tutti i livelli.
Purtroppo sui media “passa di più” il particolare atroce, la cronaca raccapricciante legata a fatti di camorra che questi esempi; ciò che è peggio, un’alnalisi precisa e circostanziata dei macro fatti economici che hanno reso il “problema mafia” non un fatto etnico o locale, ma nazionale, internazionale e finanziario non trova proprio udienza sui media di massa.
Nonostante vi abbiano accennato anche Roberto Saviano, il giudice Raffaele Cantone. Nonostante loro, ciò non fa notizia.
Tutto questo fa passare in secondo piano o sotto silenzio le responsabilità di un ceto politico che definire tale è già offensivo per chi crede ancora nella politica. Ed è – questa – una questione non locale ma NAZIONALE, che meriterebbe analisi e approcci diversi. Tu, per il prestigio che hai acquisito sul piano letterario, come intellettuale, scrittore e poeta inventore della paesologia ( la vera grande novità POLITICA nell’asfittico panorama delle analisi e della ricerca “sul campo” circa i movimenti profondi del/nel sociale), in tal senso puoi fare molto, e molto devi fare. Ma occhio alle parole. Le parole, a volte, sono pietre.
Ciò precisato, sono di certo d’accordo con te che “Ora più di allora. La parola in cima all’agenda volendo è sempre la stessa: rivoluzione.”.
Da dove si comincia, allora?
caro sergio
hai ragione per il primo pezzo di terracarne, poi in una seconda visita cilentana ho cambiato umore. è che a volte i luoghi si svelano lentamente.
caro salvatore
l’articolo era allegato a un lungo pezzo su una storia cilentana. si tratta di un pezzo su commissione.
potevo citare martiri di altre zone ma ho scelto i cilentani solo perché era l’argomento della pagina.
comunque questo articolo apre una nuova strada del mio lavoro.
grazie per l’articolato commento e anche per i consigli a ben ponderare, non sono mai inutili.
ti abbraccio
Mi sembra di aver colto nello scritto di Franco non la volontà di scrivere una sorta di antistoria ,una nuova storiografia, di una storia “vera o falsa”…. di parte… etnica,ideologica ma una tentativo di definire il senso di guardare ai fatti storici da una angolazione marginale e originale al di là delle origini.”Guardare alla nostra storia senza mettere ridicole casacche per cui i briganti sono eroi o delinquenti”.
Il suo saper essere intellettuale ,né organico né disorganico, ma con il compito non solo di dare speranze ma di esser sempre e solo sincero al limite di una partigianeria propositiva Ci sono momenti contrari alla storia. Il tempo va e il rapporto tra gli uomini diventa sempre più complesso e complicato e intrigato. Quando il tempo scorre e va gli uomini sono sempre inferiori alle loro idee: Essi cambiano troppo velocemente. Solo nelle culture primitive si può riscontrare una coincidenza e una sintonia tra l’uomo e le sue idee. Le regole e le norme prestabilite sono minime e praticabili. L’uomo è in sintonia con le proprie idee, sentimenti e desideri anche se mitizzate e ritualizzate.
Anche le parole devono essere usate nello stesso spirito. Le parole sono solo parole vuote se non in sintonia e in armonia con il proprio tempo e con la sensibilità culturale che si cerca di perseguire nelle azioni e nelle idee.
La storia è fatta dai bisogni primari dell’uomo:individualità,comunità ,socialità, umanesimo non partendo dal centro ma dalla periferia, non dal singolo ma dal comune, non dai potenti ma dagli emarginati…. Questo uomo irpino,cilentano o di qualsiasi comunità territoriale del mondo non è solo lo sconfitto, il controcorrente o il lottatore di speranza ed ideali contro soprusi ed abusi . L’uomo ha una sua essenza ,una sua uguaglianza nel diritto di lavoro, di pace, di felicità e di bellezza.
Un uomo che aspira col suo sguardo dimesso e paesologico di aspirare alla comunità come aspirazione a governarsi da sé, a governare la sua vita, la sua anima prima di tutto.La storia e “resitenza e rivoluzione” assieme e…”Mi piace-scrive ancora franco- pensare che sia una resistenza che venga proprio da quei semi di civiltà che allora furono repressi e che tuttavia appartengono al dna del popolo cilentano. Volendo si può andare ancora più lontano e si può pensare a Velia e alla scuola eleatica fondata da Parmenide e portata avanti dal suo allievo Zenone”.Non escludendo apriori che si possa fare a Casal di principe,nelle Langhe piemontesi o da qualsiasi periferia sociale o territoriale del mondo sviluppato.
Le rivoluzioni sociali di fine ottocento e del Novecento sono tutte fallite per un equivoco di fondo di un unico obiettivo di fondo : l’uguaglianza quantitativa e materiale ( oggi si direbbe economica) secondo una gerarchia di valori . Questo è stato un intoppo invalicabile ed un ‘cul de sac’ per tutte le rivoluzioni con caratteristiche sociali e di sinistra.”Si può amare l’Italia per le sue diversità e credere che il crimine maggiore che abbiamo commesso contro questa nazione sia stato quello di piallare le sue differenze”.
Il recupero dell’uomo come essere umano,territoriale e sociale con suoi diritti inalienabili alla pace, all’amore, alla gioia…alla bellezza,alla felicità….alla vita insomma.
La storia è l’umanità della periferia,dei confini ,dei margini.” La storia siamo noi nessuno si sente escluso”. Non possiamo stare fuori della storia anche volendolo. Il silenzio è non storia e il suono rompe il silenzio “Il silenzio duro da masticare”. Una parola poeticamente autentica e vera come una marea, un vento potente. Parola che vuole raccontare e fare una storia che comincia con l’uomo che dà una traccia al mondo e gli indica una strada e un viaggio da inventare e fare assieme .
Di questi tempi ognuno dice la sua. Io metterei un freno alla libertà d’espressione. Ognuno propaganda il suo risorgimento personale, il suo sud personale, il suo nord personale, la sua guerra personale, il suo terremoto personale, la sua irpinia personale fino a giungere al fatto che alcuni pensano che esista la provincia di Sant’Angelo dei Lombardi.
e la targa mi chiedo come sarebbe….UDC?
@Luigi Capone
UDC, vuoi scherzare?….Non è questione di targhe e di casacche, caro amico,si tratta proprio di una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Ma tu li hai visti a che si sono ridotti i rimasugli di quelli che furono i Partiti? Questi sono solo una palla al piede, purtroppo. Ma intendiamoci: a essi fanno riferimento moltissima gente onesta, che nulla o poco ha a che fare col disastro. A questi bisogna parlare. Per il resto, né io né altri hanno soluzioni “pret à porter”, ma una grande voglia di ricominciare; questa sì, almeno io. E non sono di primo pelo, né mi sono arreso.
Salvatore se non l’hai notato ero palesamente ironico!
Quella l’ho notata, ma è l’oggetto ( o il “target”) dell’ironia che mi sfugge….dal momento che non mi pare che chi scrive qui o che questo sia un oratorio pro UDC…. nemmeno alla lontana., O no?
l’intenzione è quella di recuperarci per non cadere completamente nell’oblio di noi stessi; recuperare le storie singole, ma sempre collettive, da sud a nord. il ritorno alla narrazione di noi stessi, di coloro che fummo, è già qualcosa di molto utile. Tornare all’utile della vita perchè il comodo (della vita) ha già devastato abbastanza la nostra memoria.
L’ho detto e lo ripeto: concordo con lo spirito e l’impostazione del pezzo di Franco; e del resto Mauro Orlando (Mercuzio) ne ha fatto una esegesi che meglio non si poteva. Marian coglie un problema secondo me capitale quando afferma “l’intenzione è quella di recuperarci per non cadere completamente nell’oblio di noi stessi; recuperare le storie singole, ma sempre collettive, da sud a nord. il ritorno alla narrazione di noi stessi, di coloro che fummo, è già qualcosa di molto utile.”. Io direi che il ritorno alla narrazione di coloro che fummo (cioè al recupero del nostro passato, riveduto, riletto, riattraversato e reinterpretato) non solo è utile, ma è decisivo per capire chi siamo ora e dove stiamo andando. Per questo ho fatto quelle precisazioni. Il Cilento da sempre è la terra delle mie vacanze estive e ho imparato a leggerne le pieghe più nascoste della sua storia, lungi da me qualsiasi contrapposizione localistica. Questo è quanto provano a fare i leghisti (vedi il tentativo di installare Radio Padania nel Salento leccese, per soffiare sulle spinte al secessionismo locale, miseramente fallito grazie a dio.)
Voglio dire che il tema della riforma radicale dell’assetto politico-istituzionale del nostro Paese non è più rinviabile e non può e non deve essere un movimento reazionario a dettarne l’agenda ( o a tentare di farlo). Da questo punto di vista quel che resta degli attuali Partiti non sanno e non vogliono dare risposte precise. Spetta dunque alla rete dei territori farlo, proprio partendo dalla ri/lettura ri/scoperta dei territori stessi e delle loro differenze, non in termini di contrapposizioni localistiche, ma con visione “globale” dell’agire locale. Questo è il vero tema che sta sotto le righe di questo pezzo di Franco Arminio, come in tanti suoi altri, del resto, Per questo il suo narrare “paesologico” non è semplicemnte tale, ma ha un immediato impatto a lettura “politica”, intesa nel senso alto, proprio alla maniera dei filosofi della scuola eleatica. Non a caso i pochi frammenti di Parmenide che ci sono rimasti, sono riflessioni in versi e per la poesia concepiti e costruiti. Quindi il suo invito a rileggere la storia del nostro risorgimento nei termini posti nel suo pezzo mi trova perfettamente d’accordo. Ed è, questo, un compito da assumere tutti insieme, Nord e Sud; soprattutto in una cosa : celebrando e rendendo onore agli sconfitti, ad esempio. Il che sarebbe un grandissimo segno di maturità e di civiltà.