…una provvisoria risposta alla “solitudine” di Papini

“Rivivo, dunque. Ma solo, terribilmente solo. Debbo rifarmi su nuove traccie la vita — una vita tutta mia, una vera vita nuova. Non ho altri alleati e compagni che me stesso. Non e’ è una mano che mi sorregga se sporgo la mia nel trabalzar dalla risalita. La terra è piena di voci ma si tratta di «buone novelle colle quali ho desinato e cenato e che non mi dicon più nulla…”
Papini

di mauro orlando

Bellissima stimolante idea pubblicare questo scritto di Papini perché nell’analisi critica del suo percorso identitario che vanno dalle “buone novelle” delle sue compagnie intellettuali e commensali giovanili “non liberati” alla riscoperta della “necesstià di “mettere le radici in qualche posto, ci permette di ribadire con correttezza il senso da dare oggi alla rsicoerta dell’ “Identità” per non continuare a restare “soli terribilmente soli. Potrei citare Karen Blixen che in un bellissimo racconto intitolato Il secondo racconto del cardinale affronta il problema del rapporto tra intellettualità ed identità, descirvendo la seguente situazione: c’è una signora che chiede al cardinale: “Ma tu chi sei?”, e a questa domanda “chi sei?” il cardinale risponde: “Risponderò con una regola classica: racconterò una storia”. Questo tipo di domande richiedono l’identificazione di una persona, l’individuazione di essa colta in tutta la sua irripetibilità, ossia nella irripetibile esistenza che ciascuno di noi ha, e c’è una sola domanda capace di far riemergere questa esistenza in tutta la sua irripetibilità: “Chi sei?” Perché se io chiedo: “cosa sei?” ebbene, allora posso rispondere accennando a una mia qualità, al mestiere che svolgo, a una mia appartenenza culturale e territoriale , alla mia natura biologica, la mia specie di appartenenza… ma il “chi sei?” ha una sola risposta intesa come risposta verbale che può rendere il suo contenuto dotato di senso.

Risposta che si dà nel discorso e che è appunto la narrazione, il raccontare una storia. In questo caso è ovviamente la storia di una vita senza finalità dottrinali e definitive o contesti naturali,territoriali e culturali come ipostasi pacificanti e definitive .Le nostre esperienze di futuro o di ritorno è solo “storia personale” che , agli occhi di chi si racconta, introduce qualche cosa di nuovo rispetto a tutti concetti di un “IO” ipertrofico ed universale o a un “io” localizzato e contestualizzato (in Irpinia o in Toscana). L’identità sia una sostanza universale e necessaria significa presupporre che esista un’identità sostanziale( etnicamente, territorialmente,culturalmente) fin dall’inizio, e che poi, durante la vita di ciascun individuo, essa si sviluppi in avanti e all’indietro in isole felici o in paradisi perduti. Invece nelle esperienze esistenziali, culturali e filosofiche non bisogna focalizzare tanto il problema dell’identità considerandola come una sostanza, ma porre altresì attenzione sul problema dell’identità impostato a partire dal fatto che ciascuno e ciascuna di noi, vivendo e agendo, mostri concretamente chi è, lasciandosi dietro una storia di vita. La differenza sostanziale tra queste due impostazioni che ho appena elencato, direi che stia proprio questa: intendere l’identità come sostanza significa legare l’identità a una sorta di a priori trascendentale, mentre l’identità che corrisponde a una “storia di vita” è, letteralmente, ciò che ci si lascia dietro. Insomma ciò che non si controlla, tutto quello che, in un certo senso, non si progetta e che si lascia dietro in quanto storia di vita, e che può avere un’espressione verbale soltanto nel racconto di questa storia di vita. Nella mia particolare posizione dell’esperienza paesologica e comunitaria nella mia terra di nascita naturale o nella mia terra di adozione provvisoria la mia storia di vita non si dà mai nella forma dell’autobiografia, ossia nella sua forma narcisistica (nella quale io posso dire chi sono solo raccontando la mia storia), ma si dà nella forma della biografia, nella quale è qualcun altro a poter raccontare la mia storia per quello che può essere utile a sé e agli altri. E questo significa che l’identità così intesa non solo non è sostanziale ma non è neanche isolata, monolitica, solitaria, solipsistica. E’ un’identità che possiamo definire relazionale, che si dà solo nella “relazione con l’altro/con l’altra”.L’altro è il soggetto che ci contraddice,ci stimola ,ci ama , ci odia…. è l’altro soprattutto che guarda, o è l’altro che ci continuerà a raccontare me nel mio fare storie e cultura. Colui o colei, che può riconoscere o esplicitare la mia identità, può offrirmi, donarmi la mia identità nella forma di una storia di vita raccontata da lui o da lei.E’ solo in questo modo che si può aggirare “la solitudine” dei voli all’in su verso gli universali ed assoluti o in giù e indietro verso “radici,territori,uomini” vergini ed incontaminati. Mi dispiace per Papini ma credo che se dovessi raccontare la sua vita non discuterei tanto i suoi mezzi ma soprattutto i suoi fini…ed ai miei compagni di viaggio nella paesologia e nell’irpinia vorrei offrire sentimenti,passioni,sogni, fantasie oltre alle idee non per definire me ma il mio viaggio insieme alla mia terra.
mauro orlando



Il blog di Franco Arminio "Comunità Provvisorie" arriva nelle vostre case...lle email.


Iscrivendoti accetti che i dati saranno utilizzati da Comunità Provvisorie nel rispetto dei principi di protezione della privacy stabiliti dal decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 e dalle altre norme vigenti in materia. Accetto di ricevere questa newsletter e so che posso annullare facilmente l'iscrizione in qualsiasi momento.

3 pensieri riguardo “…una provvisoria risposta alla “solitudine” di Papini

Rispondi