la lucania comincia ad aprile e finisce a ottobre. non è una regione è un riassunto del sistema solare: c’è la luna ad aliano nei calanchi saturno sotto il vulture marte a pietrapertosa giove sul pollino.
Devo a te questa poesia, Franco Arminio, e a te la dedico.
Albano è il paese di mio padre, visitato da me sempre solo per pochi giorni d’estate. Il paese dove non c’è più nessuno ch’io conosca o che mi conosca. L’ultima volta che ci andai, più di dieci anni fa, lo trovai orribilmente sfigurato da “abbellimenti”: delle enormi panche di marmo rosa nella modesta piazza col monumento ai Caduti e incredibili piastrelle bianche da sottopassaggio di metropolitana a sostituire i lastroni grigi nella via centrale del passeggio. Non ci sono tornata poi mai più.
Albano aggrumato oltre ‘u vosco,
paese di pietre scoscese
fondato su rocce a gradoni
paese di capre una volta, e di mosche,
paese di muli e discese
con piazze improvvise, nascoste,
paese racconto
che gira seguendo il giro del sole
e della memoria.
Come ad una straniera mio nonno
mi indicava dal Monte al tramonto
gli altri paesi – oltre le toppe
ondulate, violette o brune di stoppie
– Anzi, Brindisi credo a ponente,
nomi che più non ricordo,
e di fronte, oltre un orto
e il Basento, che inganna
perché pare salire ove scende e si perde,
le rocche di Pietrapertosa,
azzurri fantasmi nell’alba.
Non so se esiste, se ancora resiste
Albano, il paese cui torno nel sogno.
Cche vai truànno? mi chiede
– lo sguardo dei liquidi occhi
è quello di un animale, di un cane
di un asino fermo alla porta.
L’addore dell’erbe, d’i stelle –
le chianche allisciate dai morti.
questa me piase assai
questa piace assai anche a me
Molto bella.
Devo a te questa poesia, Franco Arminio, e a te la dedico.
Albano è il paese di mio padre, visitato da me sempre solo per pochi giorni d’estate. Il paese dove non c’è più nessuno ch’io conosca o che mi conosca. L’ultima volta che ci andai, più di dieci anni fa, lo trovai orribilmente sfigurato da “abbellimenti”: delle enormi panche di marmo rosa nella modesta piazza col monumento ai Caduti e incredibili piastrelle bianche da sottopassaggio di metropolitana a sostituire i lastroni grigi nella via centrale del passeggio. Non ci sono tornata poi mai più.
Albano aggrumato oltre ‘u vosco,
paese di pietre scoscese
fondato su rocce a gradoni
paese di capre una volta, e di mosche,
paese di muli e discese
con piazze improvvise, nascoste,
paese racconto
che gira seguendo il giro del sole
e della memoria.
Come ad una straniera mio nonno
mi indicava dal Monte al tramonto
gli altri paesi – oltre le toppe
ondulate, violette o brune di stoppie
– Anzi, Brindisi credo a ponente,
nomi che più non ricordo,
e di fronte, oltre un orto
e il Basento, che inganna
perché pare salire ove scende e si perde,
le rocche di Pietrapertosa,
azzurri fantasmi nell’alba.
Non so se esiste, se ancora resiste
Albano, il paese cui torno nel sogno.
Cche vai truànno? mi chiede
– lo sguardo dei liquidi occhi
è quello di un animale, di un cane
di un asino fermo alla porta.
L’addore dell’erbe, d’i stelle –
le chianche allisciate dai morti.