niente che sia Bellezza a noi riteniamo estraneo

Il Corriere della Sera stamane per la rubrica “Tiro Mancino” scrive del susseguirsi di alcune stagioni in politica. Dalla stagione dei sindaci a quella degli scrittori, riferendosi a Saviano e Arminio. Il tono rimane ambiguo.
Forse c’è dell’ironia in quel passaggio, una approssimazione che si fa sufficienza, considerato che sulle stesse pagine ci si dà appuntamento per non spendere  parole proprio d’incoraggiamento per le nuove forme di rappresenanza che stanno prendendo e dando coraggio.

Non trovo così lontane paesologia e politica.

Distinguendole nettamente, facciamo il gioco dei compartimenti stagni, tanto a caro  a chi ci ha governato nei secoli dividendoci.
Il paese non c’è la fa a reggere più il peso dei disastri annunciati che vengono a riscuotere credito. Demoni usciti dal vaso della corruzione e bulimia del nostro procedere su questa terra.

Siamo cresciuti troppo e male e tremano le gambe di questo stivale. Trema la terra, trema il pensiero del domani. Trema la convinzione che siamo più dei quattro spicci e polvere di metalli pesanti che ci lasciano fra le mani. In questo paese qui, che non si sente innanzittutto raccontato più da nessuno, in questo terre qui la paesologia può essere l’unica via. Preziosa musa dell’arte di amministrare il presente nella visione di un futuro migliore.

La paesologia può indicare alla politica, ma innanzittutto agli uomini, che per rappresentare un paese devi dismettere ogni arroganza che fino ad oggi ha agito come un acido che ha rosicato i legami con il territorio. La paesologia può insegnare alla politica, ma soprattutto agli uomini, il suo spirito, lo spirito d’osservazione che non s’arrende allo sviluppo e sa che è altra cosa rispetto al progresso.
La paesologia può togliere alla politica l’abitudine alle promesse credibili e incredibili e donarle la pratica dell’alzata del panno sul ventre delle nostre terre portandone lo sguardo fino all’osso, dove s’accumula il tuo ed altrui dolore mai rassegnato ad un padrone.

Io vedo la paesologia come lo strumento che può sussurrare alla politica l’imperativo della Bellezza come condizione necessaria  alla Vita. 

L’esperienza paesologica non si inventa oggi. Ha radici lontane che si approfondano nella terra come le piantine poggiate nei solchi dalle mani segnate dei contadini. Radici che affiorano sui volti del mio sud che cresce senza consapevolezza di se. Arminio questa storia di paesi che è storia di luce e d’aria e vite invisibili e giganti ha preso a scriverla per richiamarla in noi. Da noi. Per una questione di cura. Per una questione d’amore.

Per questi, e qualche altro motivo ancora, già ieri gli amministratori di oggi avrebbero dovuto frequentare le scuole di paesologia. Avrebbero così imparato che l’indice più affidabile nella misura di benessere del tuo paese è la felicità interna lorda, non il prodotto.

Così chi vorrà essere amministratore veramente nuovo,  qui giù da noi in questi spazi in cui il colore dell’oro appartiene alle ginestre ed al grano, non potrà non passare per le scuole di paesologia.

Lavoriamo per politici ed amministratori, donne e uomini conoscitori degli enti locali come dei sassi, dei boschi, dei posti in luce e ombra dei propri paesi. Donne e uomini che non si sognerebbero mai di applicare varianti al comandamento paesologico.

Che niente che sia Bellezza a noi riteniamo estraneo.

marianna borriello da facebook

Una opinione su "niente che sia Bellezza a noi riteniamo estraneo"

  1. Il comandamento paesologico: mi ha fatto venire in mente la massima di Terenzio tanto cara a Montaigne: .
    Che la bellezza sia un imperativo come condizione necessaria alla vita è dimostrato anche dal fatto che tutti, siamo inconsciamente animati dal sentimento di fare bellezza. Ma per paradosso quante porcherie, danni, disastri, guasti, invadono le nostre realtà, sono realizzati a suo nome.
    Per il mafioso è bella la villona con piscina olimpionica, statue e palme a profusione, per il politico è bella la piazza piastrellata a nuovo, per la massaia è bello il balcone con i gerani di plastica. Queste manifestazioni “innocue” affondano in un problema culturale molto più ampio, col risultato che ci si trova tutti costretti a convivere con lava bollente del brutto, della volgarità e dell’ingiustizia. Senza contare che questa diventa scuola che rigenera se stessa in un ribasso senza fine. E’ contro tali guasti che occorrerà una ecologia della sensibilità che attinga alla tradizione della bellezza italica per creare moderni modelli culturali capaci di benessere e attrazione.
    Per questo credo che non sia indifferente intendersi sul concetto (divenuto ambiguo) di bellezza. Quella vera non può non coniugare l’etica all’estetica, il bene al bello.
    Hillman ci ricorda che il vero problema sociale moderno è conciliare la politica con la bellezza.
    Arminio risponde che il Sud ha bisogno non tanto di soldi e forse neppure di lavoro, ma di una elementare alfabetizzazione estetica.

    E sono d’accordo con loro, nella necessità storica di rilanciare la bellezza più della ricchezza. Anzi penso addirittura che sia stata proprio la rincorsa verso la ricchezza la madre di tutti i problemi. Mi sembra che non sia un caso che il comandamento paesologico sia affine a quello di Montaigne, grande filosofo dell’arte di vivere. In fondo, se ci pensiamo per essere felici: la bellezza non ci può essere affatto estranea.

    11 giugno 2012 bruno vaglio

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