La paesologia unisce l’attenzione al dettaglio con la spinta verso il sacro, mettere al centro la poesia cambia molte cose, significa mettere al centro della vita la morte, la morte non è una faccenda di un giorno solo, è la faccenda di ogni giorno, la morte muove l’anima, la poesia e la morte portano inevitabilmente a dio, non quello che ci hanno raccontato, un dio che non promette paradisi e inferni, un dio che è semplicemente un punto vuoto a cui approdare, il dio della paesologia è il niente.
La paesologia è sgretolata, arrancante, cerca la vita e la morte, che cerca il tutto e il dettaglio. Forse non ci può accadere niente di grande prima della morte, è come se avessimo un tappo che ci impedisce di scendere o di salire: è bello quando le persone hanno questa possibilità di scendere e salire in se stessi, dobbiamo avere un’ampia oscillazione, ma intanto le parole oggi non vengono fuori, l’anima non mi serve a niente stamattina, adesso devo uscire verso il sole, mettermi dentro il giorno e vedere in che punto del corpo il giorno mette l’anima, l’anima è la cosa di cui abbiamo bisogno, l’anima del mondo è il nostro lutto, più che la fine della comunità dovremmo piangere sull’anima perduta. L’anima del mondo è finita perché sommersa delle merci, le merci ci sono sembrate più comode al posto dell’anima, e la vita è diventata una trafila burocratica, una faccenda gestita da una ragione anemica e sfiduciata. Le merci hanno messo fuori gioco ogni leggenda, fuori gioco il sogno e in fondo anche l’amore, alla fine tutto quello che discende dall’anima è come se fosse messo fuori gioco.
La paesologia è oltre la decrescita, è fuori dalla logica di costruire società e benessere, l’uomo non deve costruire niente, siamo qui nel mondo, siamo qui e non si può dire nient’altro, siamo nel tempo che passa, non c’è niente da risolvere, non c’è una meta da raggiungere. Ci vuole una religione che ci dia quiete, che ci faccia accettare quietamente l’assurdo della condizione umana, ma anche la sua miracolosa bellezza. È bello vivere proprio perché siamo avvolti nel mistero e non abbiamo alcun compito e ogni volta che ce ne diamo uno ci stressiamo, ci mettiamo in una morsa. Ogni istante è uno spingersi verso l’istante successivo cercando di approdare a chissà che, come se quello che ci fosse non bastasse mai e fosse solo la premessa, la traccia di un esercizio da svolgere. Qui è la radice dell’inquinamento, nel sentirsi in colpa se il giorno gira a vuoto. Abbiamo un’anima ingorda e non cambia molto se si è ingordi di denaro o di amore o di divertimento. È l’ingordigia che bisogna spezzare, bisogna capire che la modernità e lo sviluppismo non sono tensioni capitalistiche. Sono molte migliaia di anni che abbiamo preso questa piega. E il cristianesimo l’ha rafforzata. Non ho le idee chiare su questo punto, ci sarebbe da distinguere tra San Francesco e Calvino, bisognerebbe indagare sul passaggio dal nomadismo dei pastori all’agricoltura. Dio è morto quando è nato il primo recinto e noi siamo le sue ceneri.
La paesologia è un soffio visivo sopra queste ceneri. È il batticuore delle creature spaventate: dalla nascita alla morte i nostri sono gli spasmi di un topo finito in una gabbia. L’essenziale c’è prima di nascere e dopo la morte, l’essenziale non è per noi. Dobbiamo accontentarci di qualche attimo di bene quando c’è.
franco arminio, 27 ottobre 2012
bellissimo, lo inoltro
Francesco Ventura Ordinario di Urbanistica Università degli Studi di Firenze +39 329 2212081 +39 055 574741 Skype fravento
un mio commento non è apparso
intanto un grazie a franco per l’aiuto che ci offre per stimolare il torpore e la depressione che la quotidianeità urbanizzata ci costringe a vivere in esperienze dolorose..
Un po di aria buona dagli appennini irpini…. per forzare le limitazioni delle nostre anime dalle catene della teologia economica che la mette in stato di sottile costrizione con una stimolazione percettiva tra le contraddizione del niente e della morte sfidate su loro terreno di paure cognitive e esitenziali..E’ la riporposizione della “follia” della poesia che non vuole essere modellata all’interno della ‘polis’ solo come forza creativa ,individualmnete libera, o far parte delle religiosità confessionali gregarie ,o delle provocazione profetiche disarmate , dei culti estatici ed estetici del dionisismo filosofico astratto o dell’edonismo berlusconiano concreto, o dei cantori oracolari del-e-contro il potere.
La percezione poetica della paesologia fa parte delle follie come mezzo per forzare e superare i limiti dell’anima nelle gabbie o labirinti della modernità senza farsi irretire e spingere nella schiera dalla non-ragione, del relativismo mortificante e nel nihilismo di maniera . E’ la scienza arresa ed attiva del “tutto è divino e tutto è umano” per sottrarsi operativamente a tutte le forme di teologia religiosa,filosofica e economica.E’ la possibilità di ogni uomo di poter forzare i limiti e le obbligazione delle coscienze e osare di gettare lo sguardo non solo oltre la siepe e dove gli altri non vedono e rischiare di conoscere anche abissi spaventosi, dolori mortificanti senza afuggire in estasi visionarie o depressioni disattivanti…
mauro
grazie….. per il batticuore
il soffio visivo sulle ceneri, il batticuore delle creature spaventate…
Non c’è di che. Tuttavia – alla mia parzialissima sensibilità- il testo acquisirebbe maggior forza e un accento di verità ancora più sconvolgente se vi si sostituisse la parola “paesologia” con la parola “Arminio”, il pronome personale “noi” e “ci” con “io” e “mi” e i verbi, quando opportuno, dalla prima persona plurale alla prima singolare. Un po’ come a riprendere lo stile di CIRCO DELL’IPOCONDRIA, il libro chiave della poetica arminiana. Cancellandovi la parola “paesologia” e le generalizzazioni del “noi”,il retrogusto mistico risulterebbe meglio calibrato e la paesologia così non evocata diventerebbe- nella prassi- quella religione tanto cercata, con buona pace per Nietzsche
caro salvatore
sono giorni convulsi, sto cercando di chiudere il nuovo libro, e questo tuo consiglio appartiene alla serie dei consigli preziosi. in altri testi ho fatto un’operazione simile, ci provo anche con questo.
Sento aleggiare strani misticismi, filosofie del nulla esistenziale, religiosità matrici di impotenza.. in una parola in questo scritto sento riaffiorare tutti i macigni di culture che nel corso del tempo e degli studi hanno tentato di avvilire la mia capacità di pensare, di fare ricerca a partire da quel mio corpo che si ribellava col malessere alla costrizione ad apprendere. Anima, dio, prima della nascita, dopo la morte sono parole, allocuzioni create per tenere a bada l’angoscia dell’incertezza, del non sapere. Cioè la condizione naturale di quell’animale che viene al mondo con la potenzialità di avere consapevolezza delle proprie reazioni fisiche, delle proprie reazioni emotive, con la capacità di trasformare il vissuto in immagini, ricordi, con la creatività di sintetizzare tutto ciò in parole, che, quando oltre al significato trattengono e comunicano l’emozione vissuta dal corpo, sono poesia. Prima della nascita ero una potenzialità biologica. Dopo la morte il mio corpo pensante non ci sarà più. In questa parentesi che è la mia vita sento l’irrefrenabile spinta a portare a termine queste mie potenzialità, portare il mio muovermi istintivamente verso gli altri a diventare pensiero e conoscenza che non è se non guidata dall’amore….ma se poi volessimo continuare, con sincero spirito di ricercatori, con un buon Primitivo in mano di fronte ad un caminetto acceso……Carlo de Michele
Quoto Carlo De Michele al cento per cento. La penso esattamente come lui, né più né meno. Evidentemente Franco , dato il mezzo elettronico che esclude il linguaggio del corpo dalla comunicazione, non ha colto il retrogusto ironico nel mio intervento del 29.10 h 14.57.
Infatti, se si fa l’operazione da me suggerita e si rilegge il testo così modificato, viene fuori tutta la “sconvolgente verità” della contraddittoria debolezza del pensiero arminiano sul piano teorico e filosofico; ne viene fuori, allora, la fragilità, la maniera con la quale cerca , con l’ordito delle parole, di coprire ed elevare” a forma letteraria” questa sua fragilità teorica, intessuta di echi nicciani e dei pensatori “attuali” ( specie del pensiero debole) che vanno per la maggiore.
Ma tutti siamo deboli, contraddittori e – chi più chi meno – cerchiamo di intessere “allocuzioni create per tenere a bada l’angoscia dell’incertezza, del non sapere.”, come chiosa De Michele.
A maggior ragione questo vale anche per Franco, il quale – a mio modesto parere- si riscatta per il retrogusto di poesia che informa la sua scrittura che – sul piano teoretico e come tale- non (r)esisterebbe.
“Aho!” (cartolina dai morti), saluti e baci Nanos
p.s. la morte? è solo una continuazione della vita, brrrrrmmmmmmmmm
per me la morte è la fine di quel particolare stato di aggregazione della materia che noi chiamiamo vita dell’essere umano. Vita è cioè quella strana condizione in cui il massimo concepibile (per noi esseri umani) della complessità fa emergere una capacità di sentire, immaginare, pensare,verbalizzare che è la mente e che funziona da pochi secondi dopo la nascita fino all’esalazione dell’ultimo respiro. Poi riprende il ciclo naturale dell’ecologia cosmica….
Esattamente. Il fatto è che noi si ha una mente dotata di “immaginazione” , quanto al prima e al dopo; ed essa si proeitta in avanti e all’indietro e crea simboli, miti, mitologie, religioni ecc.. Nulla di male, è la nostra natura che è “parte” di quel “ciclo naturale dell’ecologia cosmica”. Ciò nonostante, da quando esistiamo, non si fa altro – poeti filosofi mistici scettici agnostici fondamentalisti ecc.- che accapigliarsi su quel prima e sul quel dopo. Da qui tanta arte, poesia e ….tante tragedie, non esclusi roghi, guerre, lotte stragi massacri e genocidi.
Tornando a Franco, la sua scrittura è bella (al mio gusto) perchè su quel rovello ha costruito un stile intessuto di poesia, in una forma piana e leggera, ma capace di accensioni e profondità. Ciò non toglie che sul piano “teoretico” e filosofico, essa non regge, è debole, contraddittoria, facilmente smontable da uno della pletora del “pensiero forte”. Ed avebbero pure ragione e ben donde a farlo. Ma – a mio avviso- è lì che si riscatta, proprio in quella contraddittorietà e debolezza, in quanto la sua poesia nasce nella faglia della sua “scissione” nevrotica e la rende interessante, in quanto “nostro specchio” per molti aspetti. E poi ricca di agganci per l’azione… Ma questo – ahimé- è un altro discorso.