di angelo castelluccio
Un amico, mio coetaneo scrive di paesi. E’ l’inventore di una scienza inesatta, che studia la vita (o la morte) dei paesi e racconta la loro desolazione, la Paeosologia . Racconta e descrive, con lo sguardo ad altezza di cane, di panchine vuote e passeggiatori di professione, di vecchiette con la busta della spesa e del rancore della piazza e di quante automobili sono parcheggiate in Via Cavallo. Fa tutto questo con una maestria,con una passione e con un amore che i paesi stessi non gli riconoscono, ma che gli valgono riconoscimenti in tutta Italia. Infatti nessuno al suo paese lo individua come il profeta di questa meravigliosa scienza. Però i suoi libri sono scritti con la penna della sofferenza e della ricerca letteraria che solo i grandi scrittori sono capaci di usare. Fatto sta che da molto tempo non trovo libri che provochino le stesse emozioni che mi regalano i suoi libri.
Ora mi chiede ,ci chiede, di scrivere dei nostri paesi su di un blog(bellissimo) portandomi su una strada erta e pericolosa per me: uno perché non vivo al mio paese , ma lo frequento spesso, e due perché il paese dove non vivo più è anche il suo paese.
La terza difficoltà ,considerato l’affetto che gli porto e l’amore per quel che scrive,è quella di contraddirlo (in parte ) in quanto la mia visione del paese della cicuta resta diversa e meno pessimista della sua.
Questo convincimento si alimenta con discussioni e ragionamenti che spesso mi vedono attivo ascoltatore sia nella piazza che al più loquace sito della tavola imbandita ,sia appollaiato sulle siede basse dell’ uscio del vicino.
Sono tentato anche di parlare del mio paese attraverso un linguaggio “politicante”
a me più familiare , con qualche sproloquio sulla crescita e la decrescita, sulla post-terremoto-connection , ma quello che mi va dire è diverso.
Mi viene voglia di parlare della luce del Formicoso e delle sue curve che accarezzano l’anima,non della sua discarica. Mi va di parlare della neve ghiacciata su un vecchio vaso di gerani non dell’ospedale che chiude. Voglio parlare di tanti ragazzi che, non hanno i calli alle mani come i nonni o genitori , ma hanno negli occhi e nelle parole, speranza e amore per il loro paese. Posso raccontare di Tonino che rimprovera bonariamente la moglie se a mezzogiorno in punto non è pronto a tavola con la voce che viene dal suo naso grosso cotto dal sole e i suoi gesti dalle mani ruvide e tozze da contadino. Insomma voglio dire che non tutta la piazza è rancorosa, che non tutti i paesani sono agonici ciarlieri ,che ci sono persone che apprezzano la loro vita e quella degli altri e apprezzano anche un grande scrittore e le sue poesie, ma le leggono nella penombra e poi di giorno le ricordano e nel tempo le sentiranno nel vento,le ameranno sulla bocca aperta di Piazza Convento.
La paesologia è scienza nuova , rivoluzionaria e , come a Macondo ,molte sue “cose” ancora non hanno un nome, bisogna indicarle per farle intendere e leggendo stiamo imparando.
Poi c’è la vita di tutti i giorni ,il lavoro che c’è e quello che si vuol trovare, gli affetti e l’odio,la malinconia e la gioia, la solitudine e la compagnia, il carattere e la propria formazione culturale , ma per questi ragazzi e per questi uomini e donne del paese non è tanto diverso dalla vita del paese che si chiama mondo.
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l’autore è assessore al comune di Foggia