IZMED (TRA)

di
antonella bukovaz

ci sono luoghi in cui la storia entra in pausa si affievolisce e quasi astiene dal produrre materia di narrazione si copre e imbottisce a separarsi da geografie e politiche e culture e sparire a se stessa ingoiata dall’arresto di ciò che la compone

i luoghi di confine invece non sono mai in pausa non abdicano alla propria geografia non smettono mai di comporre storia di fruttare storie di prolungare memorie di originare contese di provocare filosofie e quando sono ridotti a margine producono se non altro metafore o partenze di più accese fini

le persone cresciute con il confine addosso non si orientano in base a un punto ma in riferimento a una linea non germogliano intorno a un centro fino ad allontanarsene non vengono educati a questo movimento concentrico ad aprire ma vengono allineati lungo una faglia che solo loro vedono chiaramente e che non dirama non proietta e mette spalle al muro

le persone del confine stanno sempre con la storia addosso come fili di una trama ma è un inganno geografico il più delle volte ne subiscono gli intrecci e mai riescono a prendere distanza

il minimo che può succedere è sviluppare un abnorme senso della differenza e del confronto avversare ora questa ora quella parte preferendo ora questo ora quel paesaggio entrando dalla porta e uscendo dalla finestra in un continuo avvicendarsi circolare di posti di guardia

si sente un’eco
tra parole rimaste appese
tra pose senza prese
tra funambolismi tesi sul vuoto
dove un Confine di stato
nell’estremo capitolare dell’esilio
in linea con diverse discipline
fonda uno Stato di confine

al di là dei giochi di parole ci sono sacche di sangue ormai rappreso sotterrate in luoghi non più tanto segreti divenuti in alcuni casi cantine di case accurate perché il sangue è un buon concime che fa attecchire in fretta fondamenta e muri

al di là dei giochi di parole ci sono serie probabilità di avere una vita complessa lungo la quale cercare di rispondere a domande che nemmeno un filosofo teoretico e di stare alla finestra cercando di spingere lo sguardo sempre oltre il visibile a indagare il possibile

ciò che si vede da una postazione di confine è la stratificazione del paesaggio come se la totalità avvenisse ogni giorno niente viene realmente sostituito nulla prevale tutto viene sovrapposto ed esiste allo stesso tempo

ciò che si racconta da una postazione di confine ha a che vedere con coordinate precise perché variate e affilate dal tempo con descrizioni accurate e compilate secondo precisi riferimenti storici anche quando riguardano un bosco di faggi

memorie acuminate
segreti lasciati agli ormeggi
piacere nella delazione

in nessun altro luogo è così chiaro che non esiste la realtà ma solo la sua interpretazione



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12 pensieri riguardo “IZMED (TRA)

  1. Ciao, bellissimo post, complimenti, mi piacerebbe aggiungerlo dietro un post che ho appena fatto, ovviamente dichiarando la paternità di quanto scritto e il link al tuo blog. Il post in questione è quello su Holtville: cittadina di frontiera tra USA e Messico dove da anni esiste un doppio cimitero, quello ‘normale’ e di finco quello dei Jhon Doe sudamericani…fammi sapere…ciao!

  2. come dice Arminio, non c’è problema, anzi sono contenta….
    a proposito di cimiteri ti mando questa poesia che3 ho scritto a seguito a una lettura di un testo di Claudio Magris…. descrive il cimitero di Ralbitz/Ralbicy in Lusazia (Germania)…. una regione abitata dai sorbi, un popolo slavo…. in quel cimitero le croci bianche sono allineate tutte uguali, non sono ammessi pomposi monumenti funebri, tutti riposano nell’eguaglianza della morte…. tanto che non si viene sepolti accanto ai propri famigliari ma semplicemente accanto all’ultimo morto….

    c’è un luogo dove il tempo è doppiamente sovrano
    ne determina prima la fine terrena
    ne dispone poi lo scavo della fossa
    è il cimitero di croci bianche di Ralbitz
    ordinate tutte uguali come uguale la sorte
    l’ultimo morto allineato al precedente
    dimentico del consorte una fila più in là
    lontano dal padre in fondo di qua
    l’ora del trapasso decide
    compagni di destra e sinistra
    alleggerisce e le tue scelte irride
    un po’ tardi in verità

    1. “l’ora del trapasso decide compagni di destra e sinistra e le tue scelte irride un pò tardi in verità”

      “Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,
      trasenno stu canciello ha fatt’o punto
      c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:
      tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?
      Perciò,stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
      suppuorteme vicino, che te ‘mporta?”

      … un fiume carsico fino al rione sanità ..

    1. camminare infatti è l’unico modo per stare nel ritmo della terra che a me da la misura per i pensieri e le parole, per leggere ciò che ho intorno….

  3. …….in nessun altro luogo è così chiaro che non esiste la realtà ma solo la sua interpretazione…….

    .nelle terre di confine ,del margine il tema delle tracce riveste sicuramente un’importanza cruciale chi sente ancora l’urgenza della teoresi e della filosofia. Traccia che non è traccia di qualcosa bensì di ciò che non c’è, che non si presenta né può mai presentarsi. La traccia dunque rimanda a se stessa nel senso che rappresenta il momento di una strutturazione non preceduta da nulla ma a partire dalla quale qualcosa appare. In che modo e in che senso questo insieme di rimandi è comunque in grado di costituire un orizzonte di senso inteso come orizzonte della mancanza? Quasto è lo steso problema teoretico che mi pone la “paesologia”.
    “un sapere arreso” che cerca di svelare esistenzialemnte le presenze piene che non non si danno mai a chi non è generoso con sè e con gli altri da sembrare piuttosto ovvio, persino banale. Se vedo un lato di un oggetto o il volto di una persona , non ne vedo un altro uguale nella sua esistenza di persone con i loro sentimenti repressi o coltivati.Nelle terre marginali e di confine le tracce sono meno coperte che nelle grandi metropoli o nei “non-luoghi” della postmedernità……ed è da questo privilegio che bisogna ripartire….per rivedere “la realtà” e non solo “la sua interpretazione”….
    mauro orlando

    1. mi sembri un po’ complicato…. la cosa sulla quale mi sento di dissentire maggiormente è che la paesologia, chissà perchè tra parentesi, ponga problemi teoretici quando si tratta di scienza che indaga la carne…. è una pratica non una teoria….

  4. la mia complicazione è la complicazione di chi come me a fatica cerca di liberarsi dal razionalismo moderno e cartesiano ed è intrigato dalla poesia ,da sempre fuori dai canoni delle categorie razionali( fin da Platone ed Heidegger) dalla lirica gerca da Saffo,Archiloco in poi.La paesologia è una scienza arresa e debole perchè teme di essere inserita nel catologhi delle scienze forti (logìe) che si fanno metafisica o ontologia.Le sue aspirazioni teoretiche sono individuali con esigenze comunitarie ma sono strettamente esitenziali mai ontologiche.Il riferimento alla carne non è di carattere estetico ma umanistico…..non aspira mai a diventare teoria ma ad essere stettamnte legata alla “pratica” (meglio alle pratiche) del vivere concretamente (carnalemnte oserei dire).Naturalmente questi sono problemi del mio “io” educato al razionalismo occidentale con condizionamenti culturali mediterranei……ammiro e sento molto la tua lingua poetica ma faccio una gran fatica anche solo a metterla in conflitto con la mia eraclitea-heidegerriana……

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