oratorio bizantino, aspettando terracarne

di marco belpoliti

Quanti libri politici escono ogni mese in Italia? Cinque, dieci, cinquanta? Forse meno, forse di più. Di certo nessuno somiglia a questo libro scritto da Franco Arminio: Oratorio bizantino (Ediesse). Nessuno possiede la forza e la verità di parola del paesologo di Bisaccia, Irpinia d’Oriente. Lo scrive Franco Cassano, filosofo meridionale, osservatore acuto del nostro Sud, quando ci spiega nella sua prefazione come il poeta irpino si opponga alla “planetaria fornicazione dei mediocri”, quella che incrementa al Sud come al Nord il bottino privato, arraffando dal pubblico secondo i propri interessi personali e di gruppo. Di più, da questa fornicazione procede la politica attuale, una politica non-politica, che trasforma tutto in affare, in carriera e compromessi, che presenta come sano senso della realtà la tecnica della spartizione del bottino: “Ecco perché domina la vigliaccheria, quella tara dell’anima su cui i politici hanno costruito il proprio dominio, ecco perché in tanti, salendo di rango, sono arrivati in cima, ma non sanno più dire nulla”. Quando si leggono queste parole – e quelle del poeta Arminio – ciascuno pensa subito ai politici che conosce, non solo quelli di sinistra, verso cui sembrano indirizzarsi queste parole, che contengono un forte richiamo alla moralità, ma anche e soprattutto a quel ceto politico che ha occupato i posti di governo e di sottogoverno, leghisti, centristi, populisti della libertà, che parlano in nome dell’antipolitica, ma intanto coltivano quella “tara dell’anima”. Oratorio bizantino è una boccata d’ossigeno per noi tutti. Arminio vi parla il linguaggio dell’anima, combatte i luoghi comuni, si appassiona e coinvolge i lettori con la sua poesia in prosa. Si tratta della raccolta dei suoi scritti politici, brevi, fulminanti, dolenti, acuti, personali, apparsi su giornali e riviste del Sud, e non solo, in siti web e piccole riviste. Qui si scaglia contro la lobby dei vittimisti; poi ci spiega perché il piccolo paese non è solo il luogo della disfatta, ma anche della rivincita; perché oggi c’è bisogno disperatamente dell’amore e della speranza. Arminio dice cose semplici, ma lo fa con una passione e uno stile inconsueto. Parte sempre da sé, ed è morale senza essere moralista; non tiene il dito alzato, ma ci esorta a sbarazzarci della nostra meschinità. Usa quel po’, o tanto, di follia che abita i poeti e li fa diversi da tutti gli altri: più saggi, e insieme più matti, elaborati e nello stesso tempo semplici ed efficaci. Se questo fosse un paese davvero anormale – quell’anormalità che è necessaria in certi momenti per cambiar vita, per mutar strada –, Armino dovrebbe scrivere le sue concioni appassionate sulla prima pagina dei quotidiani nazionali, dove invece si discute del futuro dell’Italia post-berlusconiana analizzando gli scenari possibili. Ma quali scenari? Trascrivo dalla quarta di copertina ciò che il visionario e realistico Arminio vede: “Oggi c’è un vento viscido e spinoso. I vecchi stanno davanti al fuoco. I depressi hanno preso la pastiglia del mattino. Gli alcolisti il primo bicchierino. Intanto, la politica continua nel vacuo vagare da una riunione all’altra: i politici hanno il sangue scuro, il culo piallato sulle sedie, lemuri di una stagione cupa e disfatta. Da ogni parte si tendono trabocchetti, tagliole. Manca il movimento, la forza propulsiva. L’augello è ostruito e il fuoco non arriva”. Leggete questo libro bellissimo, aiuta a sperare.

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