“Le nostre valigie logore stavano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevano altro e più lungo cammino da percorrere. Ma non importa, la strada è vita.”
-Jack Kerouac-
Franco ci ha regalato un pezzo del suo racconto del viaggio suo e della Comunità provvisoria nell ‘Irpinie del mondo. Io lo guardo questo bel testo anche grafico…. di giorno sulla mia scrivania come viatico della mia quotidianeità mortificata e a sera sul mio comodino come possibile compagno dei miei scomposti sogni senili .Mi tiene compagnia e guardandolo mi conforta come un riferimento costante, un bastone,un segnalibro nel viaggio del mio cuore pensante.Anche la Edda continua i suo viaggio scomposto di casalinga emotiva e spesso di nascosto me lo sottrae nei momenti in cui sente mancarle il fiato delle asperità e le ansie irrisolte di madre e compagna.C’è una guerra non dichiarata per impossessarsi di questo intruso e intrigante strumento di stimolo e di conforto.Spesso scocertata dalla presa precaria ed emozionale della lettura mi chiede di spiegarle concettualmente la “paesologia” e alla mia indisponibilità didattica alla fine si finisce nella classica fenomenologia della vita familiare che porta alla incomunicabilitò della differenza di genere che non vuole cogliere e giustificare le mie difficoltà ad esprimere con parole concettuali un problema che mi sfugge tra le dita di una logicità filosofica e teoretica.Questo mi incuriosice ma nello stesso tempo mi indispone.Questo libro è come Proteo….ti attira ,ti irretisce ma ti sfugge continuamente . Sono note sparse che non si accompagnano necessariamnete ad una melodia piana e definitiva. Si colgono le tante schegge di uno specchio infranto delle realtà del margine e dell’abbandono a cui bisogna dare un senso generale tra i tanti piccoli e diversificati frammenti.La lettura deve per necessità dilatarsi nel tempo provvisorio delle emozioni e non in quello pacificato della ragione.Devi portartelo dietro nei tuoi viaggi scombussolati e rumorosi del quotidiano e approfittare dei momenti di radure solitarie , silenziose e appartate per riprendere il filo logico di un sentimento , e concreto di una speranza e il miraggio falso di un ragionamento piano e universale .Come faccio a spiegare alla Edda il mio sottrarmi ad una spiegazione una tantum? Quando lo riprendo tra le mani sento la sua non consitenza di oggetto definito e immobile ma il flusso magico e misterioso di un insieme di parole,concetti ed idee che scavando nel profondo delle crepe della carne e della terra e degli smottamenti della terra-carne a volte si sciolgono nell’aria facendo mancare ossigeno al cervello nella sua vocazione a costruire labirinti o cattedrali astratte anche se stendendo veli tra le persone che vivono e le cose che sono vissute. A noi cercare i bandoli ,svelare e scegliere di leggere il mondo guardando dalle finestre razionali alla ricerca degli universali o infilandosi emotivamente dubbiosi nel profondo delle fessure e delle crepe di una realtà sottile, intensa e dolorosa palpando con curiosità e generosità la sostanza volatile dell’esitenza minima e del sogno-speranza.Più della definizione intelligente e complessiva coltivi un occhio che scruti in fondo , l’orecchio che percepisce e da senso ai rumori e alle singole note di una possibile sinfonia, un naso che fiuta con gli bassi un cane i profumi e l’atmosfera invisibile che ti avvolge e ti emoziona.Un lettura che in quel momento ti da l’ebbrezza e la felicità che non ti fa dimenticare come sedativo estetico le inquietudini,le angosce ,i dolori , gli abissi ,le solitudini nelle voragini e nelle crepe negli smottamenti della terra-carne dei terremoti dell’anima.Ma nelle letture occasionali ci sono anche momenti di gioia (non solo intellettuale) e nell’angoscia inesausta di Franco trovi la mistura dei piaceri della immaginazione e della intelligenza ,la vista,l’odorato di un carne-corpo in discesa vorticosa nel viaggio dell’emozione e del cuore nelle persone umili ma non senza anima.E questo non ti chiude , non ti obbliga ad un viaggio metafifisico, filosofico o religioso “in interiore homini” o ad un pascaliano vivere l’inadeguatezza di un moderno stile di vita e di pensiero della individualità prometeica.Non ti chiude compiaciuto nel conflitto e nelle contraddizioni ma ti apre alla realtà complicata e dolorante ma ricca di occasioni, di progetti, esperienze che ti invitano al futuro nel piacere del passato e ti evitino il rischio estetico o retorico di saltare in aria con l’aiuto delle parole….Ma tutto questo con lentezza senza la frenesia e la speranza di una nuova dottrina che ti appacifichi con te stesso e non ti i complichi la vita con lo stimolo o la speranza di una ricerca di poterla cambiare anche radicalmente …
mauro orlando
Mauro, che bella prova di generosità e di umanità la tua! E che bella questa ammissione di debolezza di fronte a certi “compiti”, questa delicata descrizione di un rapporto che si basa sui dialoghi, sulla comprensione, sull’ammissione dei propri limiti! E che bella anche questa idea di un libro che si allunga nel tempo, che si può leggere a tratti, senza fretta, che si può portare con sé ovunque, riprendendolo, abbandonandolo e, poi, aprendolo ancora, in un punto impreciso, dove ci pare. E’ così questo libro, è un percorso tortuoso, tormentato, è un modo per dirsi umani e provvisori e deboli e frammentari. E’ una dichiarazione di imperfezione che non esclude, anzi grida disperatamente, la possibilità di un Vita e di un Mondo differenti, con noi meno attorcigliati nel nostro delirio identitario, meno avvinti al nostro “centro”, ma più inattuali, più folli e, chissà, forse più “felici” (si può dire felici, vero?).
Grazie Mauro!
Avercene…
È vero, anch’io entro ed esco dal libro trascinandomi dietro gli occhi. Penso che anche lui, il libro, desideri un lettore sbilanciato, malfermo.