Lo vedi è un salto sbagliato. di Cristina Micelli

Opera di Massimo Campigli

Lo vedi è un salto sbagliato
di generazioni che non sanno tenersi per mano.
Chi ha combattuto prima, molto prima
si arrende a un presente alienato.
Chi ha lanciato l’innesto
chi ha scalfito l’era della natura umana
nasconde le mani dietro la schiena e ride in disparte.
A che punto a che cifra tornare indietro
a che anno passato e plausibile tornare?
Gli antenati vengono dalla fame.
Lo spago taglia in parti uguali la polenta per i fratelli
nel fumo che sale la sospensione degli sguardi.

Il quadro alla parete guarda il nostro mangiare in piedi
la fretta efficiente che ci riguarda.
Il tempo dato è corto e serve ai miraggi della corsa.
Ti ascolterò dopo queste quattordici telefonate
che vengono prima di te, molto prima di te.
Ma tu rimani un attimo in attesa
ti ascolterò fra sei mesi.
Programmo ora il mio business plan
fra sei mesi uscirà un alert.

La specie che temporaneamente chiamiamo umana
ha indurito i tratti del volto, ha contratto i muscoli del
dono.
Gli antenati non possono capire la deriva delle menti nostre
ci danno le uova e la verdura che hanno coltivato
in orizzonti di semplicità e orti.
Ci danno quello che sanno.

Nella continuità che ci consoli
arrivano badanti straniere.
Vengono dalla fame
fan ruotare le carrozzelle nostre
e ci fan vedere il tempo com’era, com’è.
Dietro alla schiena ci appoggiano cuscini
pensano alle scarpe che compreranno ai loro bambini.

Cristina Micelli

4 pensieri riguardo “Lo vedi è un salto sbagliato. di Cristina Micelli

  1. (A mia discolpa, visto che ho arbitrariamente deciso di dar al testo una scansione strofica che nell’originale non c’è – ma l’ho fatto solo per dar rilievo alle scene che delineano altrettanti nuclei tematici -, posso dire che Cristina m’ha addirittura detto che l’adotterà in sede di pubblicazione, imminente per i tipi de Le Voci della Luna.)

  2. ,Questi sono i miei commenti a caldo (anzi, il primo in assoluto è stato un intenso brivido di commozione lungo tutta la spina dorsale, quand l’ho sentita leggere direttamente dalla voce dell’autrice, alla premiazione del Renato Giorgi a Sasso Marconi, qualche giorno fa), inviati in mail direttamente a Cristina il giorno dopo:

    “Non son lodi sperticate né piaggeria o esagerazioni: fidati, praticamente non ci conosciamo (incontrati ieri per la prima volta), ma ti confermo che oggi tu sei tra i poeti più belli, forti e necessari che ci siano, non solo in Italia.

    La più alta poesia sentita ieri al Premio Giorgi, direttamente dalla voce dell’autrice: potentissimamente umana, commovente e storicamente lucidissima, come nessuna ancora conoscevo finora; qua si toccano corde profondissime, e il 2° premio non è abbastanza per Cristina Micelli (Udine, 1965) che per me è tra i poeti oggi più belli. Dimenticavo il titolo della silloge per la quale è stata premiata: ‘Stato di veglia’ che, a quanto ho capito, dovrebbe uscire a breve per Le voci della luna.

    Ricopiare dal n. 51 della rivista omonima, e intanto ridire queste parole, come tutte le parole che toccano l’essenza più profonda non dei singoli in sé ma della
    collettività inclusi appunto tutti i singoli, è una cosa che ti rimette in sintonia con l’esistenza: per fortuna esistono i poeti, esseri i più necessari all’umanità, o
    saremmo ormai da tempo già finiti come specie.

    I due punti dove m’ha attraversato, da parte a parte, tutta la vita e l’anima:

    <>

    Questi sono due passaggi cruciali, della e nella poesia: la trasmissione del sapere reale, semplice e terreno (e insieme altissimo e spirituale); e poi il passaggio vita – morte, anzi il contrario: come anche una vita che va spegnendosi
    sia alimento per una che invece sta crescendo; e quel legame affettivo, da cui scaturisce ogni pensiero e azione, tra i lontani che si vedono poco, ma si comunicano ugualmente tutta intera la vita – su uno sfondo di povertà ch’è anche condizione d’autentica solidarietà (oggi che c’è una condizione inedita e assurda per la media borghesia, quella del “poor worker”: quelli che, pur lavorando, rimangono poveri).

    Ecco che anche il ritmo a salto sbagliato è bellissimo, e totalmente in sintonia col tema – ché anzi non esiste questo dualismo: il ritmo è il tema e viceversa, qui. Questi sono vertici di consapevolezza e amore umano, sono montagne e vette camminando in cima a cui possiamo respirare, guardar lontano.

    Le diverse condizioni umane succedutesi nella diacronia, in realtà son sempre coesistenti nella sincronia: basta spostarsi nello spazio e ancor oggi ci sono tribù che vivono nel paleolitico; così i migranti di oggi siamo noi 50-100 anni fa fuoriusciti in altri paesi. Il tema è l’identità cogli altri, il veicolo usato per portarci là
    (ovvero qui) è il viaggio spaziotemporale nell’animo umano, che si riconosce negli altri cioè nelle cose ‘fuori di sé’ – nella cosiddetta realtà, attraversata in tutta
    la sua/nostra profondità.

    Perciò Zanzotto parlava della poesia come l’unica vera Storia umana… Quindi non l’imposizione di un passato, e dunque un presente e futuro, da parte dei vincitori (la Storia è la massima opera oratoria: attraverso Zanzotto, che citava Cicerone), ma anzi la storia dei vinti: anche se la poesia, per quanto parli del dolore, è cmq vittoria e suo superamento.

    Secondo me il tempo che sta per arrivare ha delle promesse bellissime e non parlo di felicità per tutti e fine delle pene d’amore e tutti amici di tutti e comprensione umana per tutti e cose in fondo assurde e non in nostro potere, ma di pura giustizia e libertà per chiunque: secondo me oggi si danno le condizioni necessarie e tutte le possibilità perché forse tra poche generazioni si dia davvero il tempo umano, in opera comune.”

  3. L’html ha tagliato la citazione dei due punti per me salienti, eccola:

    “Gli antenati non possono capire la deriva delle menti nostre
    ci danno le uova e la verdura che hanno coltivato
    in orizzonti di semplicità e orti.
    Ci danno quello che sanno.

    Nella continuità che ci consoli
    arrivano badanti straniere.
    Vengono dalla fame
    fan ruotare le carrozzelle nostre
    e ci fan vedere il tempo com’era, com’è.
    Dietro alla schiena ci appoggiano cuscini
    pensano alle scarpe che compreranno ai loro bambini.”

  4. Incantevole come una favola, come un racconto al camino della memoria che tenta di ricongiungere generazioni e tempo… e trova per magia una lingua semplice, come di bambino che ascolti l’adulto sognante che spera di raccontare un saggio frammento di verità.

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