metto qui un pezzo uscito su l’ultimo numero di reportage (e dunque non contenuto in terracarne). ne approfitto per ricordare agli amici che venerdi sono prima a caivano (17.30, biblioteca) e poi a caserta (19.30, libreria mondadori). sabato prima presentazione di terracarne in irpinia, pratola serra ore 18.00
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Andare nei paesi poco alla volta mi ha tirato via dal mio paese. È stato un lungo lavoro per togliermi dall’infiammazione della residenza. Vivo ancora a Bisaccia, ma quando passo per la piazza sento che il corpo a corpo è finito. Io sto al mio posto e la piazza al suo.
Poco fa sono uscito dalla casa di un mio parente e mi sono accorto che è una delle pochissime persone ancora vive con cui ho trascorso l’infanzia. Come se pure io fossi già vecchio. Parto da questa sensazione per parlare del paese che ho visto ieri, Auletta, e di quello che ho visto oggi, Sicignano.
Ad Auletta ci sono andato per partecipare a un dibattito intorno a una ricerca sui paesi terremotati, ricerca curata dall’osservatorio post-sisma, una bella realtà del nostro sud, animata dalla passione civile del giornalista Antonello Caporale.
Mi ha colpito arrivando nel luogo dell’incontro la presenza di numerosi giovani. La ragazza che ha presentato la ricerca era emozionata. Io ho svolto un primo intervento dicendo un po’ di cose che ormai appartengono al repertorio paesologico. Poi Caporale mi ha fatto una domanda riferendosi a una mia lettera al vicepresidente della regione Campania. Ho risposto dicendo che ci vuole una militanza più viva, che sarebbe il caso di provvedere a sloggiare certi personaggi dalle loro poltrone, ma mentre rispondevo sentivo che prendevo le parole da un luogo di sofferenza, che il tappeto della mente era bucato, parlavo direttamente dall’irritazione della carne. Un intervento breve, che però mi ha lasciato sofferente per tutto il resto della serata.
Finito il nostro turno sono rimasto al tavolo per partecipare alla presentazione del libro di Sergio Rizzo. Il giornalista per parlare del suo Vandali ci ha fatto vedere una lunga serie di immagini che mostrano la stato di abbandono dei beni culturali italiani. A un certo punto ha fatto vedere anche una frase di Aldo Loris Rossi, un architetto napoletano che invoca la distruzione dell’edilizia post bellica. Rizzo è andato per le lunghe e non c’è stato modo di aprire il dibattito. Gli ho detto in privato che il signor Rossi è un architetto che al mio paese ha fatto delle opere che gridano vendetta. Ho fatto anche un’altra osservazione a Rizzo: tutte le immagini che ci ha fatto vedere erano di luoghi molto noti, dal Colosseo, a Pompei, a Paestum. Gli ho detto che mi sarebbe piaciuto se ci avesse mostrato qualche piccolo paese sperduto dell’Appennino e magari qualche castello orrendamente costruito. Ma questi sono lavori per paesologi e Rizzo non è paesologo. E forse le persone come lui quando vanno nei piccoli paesi non hanno mai molto tempo.
Praticamente ogni paese offre il suo contributo al catalogo dello scempio. Ieri ad Auletta ho visto un raccapricciante municipio, e oggi a Sicignano due poderosi scheletri di cemento armato mai corredati di un corpo. Davanti a uno di questi scheletri un signore mi ha detto che si tratta di un tentativo di fare una scuola media, una roba che sta lì da oltre quarant’anni e adesso hanno anche rafforzato i pilastri.
Prima di andare a Sicignano avevo ammirato il bel paesaggio che sta sotto gli Alburni. Siamo sul confine con la Lucania. L’aria afosa offusca i contorni dei paesi più lontani. Vorrei andare a trovarli tutti: Caggiano, Salvitelle e poi Palomonte, Buccino, San Greogorio Magno.
Tra paesi e paesaggio non c’è storia, i paesi sono la parte sgraziata, il neo di questi luoghi. Auletta è su una piccola collina circondata da montagne, un luogo mirabile. E non c’è solo bellezza, c’è il carciofo bianco, i fichi, sempre bianchi, i fagioli, pure loro bianchi. E poi c’è il fiume Tanagro che ha ancora l’aria di un fiume e poi le grotte di Pertosa, un buco dentro la vecchia terra: non a caso da un po’ di tempo lo usano per rappresentare scene dantesche.
Sono contento di stare in questi luoghi. La provincia di Salerno è un continente e sotto gli Alburni io sento la forza del paesaggio, sento che nonostante la criminale legge regionale che consente a tutti di farsi la casa in campagna, qui lo scempio è circoscritto ai paesi. Ad Auletta era nella norma, a Sicignano diventa quasi uno spettacolo. A parte i palazzoni incompiuti in cemento armato, tutto sembra un piccolo delirio, come se il paese avesse tentato, senza riuscirvi, una fuga dalla sua montagna. Non arrivo al castello, il cui restauro ovviamente non è ancora ultimato, non ci arrivo perché resto imbottigliato nel traffico di una strada stretta a doppio senso di circolazione. Manovre difficoltose per autisti poco addestrati e poi le insegne di plastica e i colori delle case e le persone davanti al bar, tutto bonariamente disordinato in una calda mattina di agosto. Ci vorrebbe un ispettore alla bellezza. Ci vorrebbe qualcuno che indichi la forma dei balconi, i materiali per le insegne, la forma delle panchine. Poi ci sono gli infissi e perfino gli abiti delle persone. Ormai il brutto ha troppe vie di fuga, sembra impossibile bloccare la sua proliferazione. Sicignano ha un bellissimo castello che guarda una bellissima valle e alle spalle ha una bellissima montagna. È il caso di usare senza remore per tre volte il superlativo, ma poi il paese ci racconta in maniera emblematica la Caporetto urbanistica dei paesi italiani. Ora le cose stanno come stanno. C’è quasi da ringraziare la crisi che un po’ sembra aver bloccato le betoniere. Adesso bisogna capire come organizzare politiche nel tempo della penuria. E non è detto che siano politiche sterili. Anzi, forse da adesso si può cominciare a ricostruire la bellezza. E dentro la bellezza ridare un senso nuovo a questi luoghi.
Io vado ovunque mi invitano a parlare, mi stanco perché alla fine non sono mai interessati alla letteratura, ma ai problemi sociali ed economici. Io non sono un sociologo né un economista, sono uno che va in giro per non farsi paralizzare completamente dalle sue paure. Sono un malato di nervi, un ipocondriaco, ma è una cosa che non interessa a nessuno. Non vogliono il racconto della mia sofferenza, non vogliono apprezzare il giro delle frasi, vogliono le frasi dell’attualità, vogliono sentire come si possono salvare i paesi. Su questo terreno non è che posso dire cose speciali. Meglio di me sarebbe invitare gente come Franco Origlio, l’ex sindaco di Pertosa che ha fatto belle cose in queste zone. A volte in un territorio basta una sola persona. Il guaio è che ci sono territori in cui non c’è neppure una sola persona e se c’è non gli danno certo il ruolo di sindaco. Ieri sera ad Auletta ho conosciuto anche un altro signore interessante, molto più interessante del musicista Mannarino, che animava la serata dei ragazzi con un concerto con molti debiti verso il mio compaesano Vinicio Capossela. Il signore di Auletta, di cui non ricordo il nome, si occupa di caporalato e scrive anche racconti. Una bella faccia, una bella storia, ma sconosciuta fuori dai paraggi. E si sa che dentro i paraggi le belle storie non vengono apprezzate.
Voglio tornare ad Auletta e Sicignano, e voglio andare anche a Petina, dove non sono stato e anche in un altro frammento di paese che sta sopra una piccola montagna bucata dall’autostrada. Da Contursi a Castrovillari la Salerno-Reggio Calabria regala grandi paesaggi ad ogni uscita. E scenari diversi e un senso che il sud non sta morendo, stanno morendo, finalmente, quelli che il sud lo hanno ferito e oltraggiato in ogni modo. Ecco, man mano che i feritori spariscono, il sud ritorna, riprende la sua vita. Ieri sera ad Auletta dopo il convegno abbiamo mangiato un piatto strepitoso, con delle patate avvolte in un senso di bruciato. Dentro quelle patate palpitava un sud di cui avevamo perso traccia e che sta tornando. Non arriverà ovunque, non sarà facile trovarlo, bisogna andare a cercarlo. Gli Alburni sono una delle tane dove nidifica una bestia gentile e inaudita. La bestia che ho visto stamattina ad Auletta nel negozio di una ragazza che mi ha venduto i carciofi e il pane e il fragolino. Mi sono portato a casa non degli alimenti ma un pezzo di paesaggio. E sulla tavola imbandita ho sentito che non è tutto morto e che non bisogna farsi paralizzare dall’orrore che galleggia in superficie. Bisogna essere agili, frugare, spostarsi, andare e tornare. Uscire al casello di Sicignano mentre si sta andando verso nord o verso sud, aprire divagazioni, vedere una decina di uomini ad Auletta che conversano al fresco, tralasciare gli arroganti, ringraziare i clementi, comprare i prodotti di chi coltiva la terra, fermarsi davanti a un bar e sorridere, salutare, ascoltare, fare compagnia. E poi andare in un altro paese, bere a una fontana, fermarsi con gli anziani, farli parlare della loro vita. Andare in una provincia italiana e scoprire che è un continente. Nella provincia di Salerno non ci sono solo Amalfi e Positano, c’è Castellabate e c’è Paestum e Palinuro, ci sono Roscigno e Romagnano e c’è Padula e Teggiano, ma ci sono anche i paesi dove non va nessuno, come Santomenna e Castelnuovo. Una provincia col mare del Mediterraneo e con montagne andine, la bancarotta urbanistica e la forza della natura, luoghi di commistione, faglie, attriti, posture antiche e posture postmoderne. Insomma, un viaggio di straordinario interesse geografico, artistico e antropologico. L’importante è sentirsi disarmati, è andare in giro senza il taccuino delle multe o in cerca di allori. Andare in giro da sperduti per incontrare altri sperduti, sapere che il mondo adesso è questo intreccio di falso e vero, di bellezza e sfregio. E pure noi siamo parte dell’intreccio, siamo un filo di questa trama. A noi spetta distenderla, piuttosto che aggrovigliarla ulteriormente. Non è un lavoro per turisti o per studiosi, ma per figure ibride, gente che va in giro a vedere come le cose mutano di giorno in giorno, come tutto si disfa e si ricrea. E noi dobbiamo partecipare al disfacimento e alla creazione. Non ci spetta un solo compito. Non siamo spettatori del paesaggio, possiamo assisterlo e farsi assistere da esso. Andare in giro in un certo modo oggi è una forma di militanza politica, gettare semi fuori dai solchi canonici e vedere frutti imprevisti e impensati.
Pezzo splendido, ricco di ritmo e con tutti gli ingredienti migliori della “cucina paesologica”. Chiusura altrettanto efficace, direi eraclitea in quel ” Non è un lavoro per turisti o per studiosi, ma per figure ibride, gente che va in giro a vedere come le cose mutano di giorno in giorno, come tutto si disfa e si ricrea. E noi dobbiamo partecipare al disfacimento e alla creazione. Non ci spetta un solo compito. Non siamo spettatori del paesaggio, possiamo assisterlo e farsi assistere da esso. Andare in giro in un certo modo oggi è una forma di militanza politica, gettare semi fuori dai solchi canonici e vedere frutti imprevisti e impensati”…
Un solo appunto, un refuso una distrazione : avrei scritto “possiamo assisterlo e “farci” assistere da esso” .
Me lo aspettavo questo racconto, quei paesi stanno diventando la mia famiglia allargata. E poi sono uno di quei giovani che hanno organizzato quel convegno.
Faremo tanto, dobbiamo farlo, per noi e per il Sud fuori dalle copertine.
Stefano
Ritmo (Salvatore), scrittura elettrocardiogrammatica aggiungo io. graziefranco per questo ripasso con cuspidi-
Io sono rapita dalla bellezza vista di sguincio,
questi sono luoghi mai raccontati
Io sono rapita dagli elefanti alburnini e dalle sue tante narici, le attraverso, le abito, salgo e scendo, guardo, fotografo ma sono ancora senza parole.
trottola trottola———se faccio tregua————– salgo in groppa.
Un ottimo racconto paesologico. Un ottimo antidoto.
Sento che le persone pretendono risposte, desiderano guru dell’uscita e non l’ascolto di sè e dei paesi; è naturale, nessuno ha insegnato mai loro a guardare il paesaggio, sentire le piazze e le fontane come il patrimonio più importante e ancora meno le persone e gli anziani. Ci hanno detto che le industrie prima e le borse ora sono fondamentali, che la fabbrica del lamento paga e l’assistenzialismo gli va incontro. Così ha funzionato. Andare in giro ad ascoltare, anche in città infinite di periferia come Napoli, è militanza politica, perchè è riappartenere all’intorno. Ricucire uno strappo baratro infetto non si può. Reimparare un nuovo codice, non ci reimmunizza alla vita, ci trova un’altra ricetta. Il tuo antidoto paesologico lo puoi anche portare in città, come le erbe che i briganti portavano ai re nelle favole di mia nonna, ma siamo avvelenati e ogni corpo reagisce per sè.
che strano, l’altro ieri sera la piazza di san martino valle caudina, già periferia di caserta, già camorra spinta, mi è sembrata un bel luogo fatiscentemente paesologico, più di tanti paesi imbellettati del dopo sisma
paesi imbellettati= lifting spinto
Molti luminari di questa chirurgia estetica sono usciti da palazzo gravina (fac. di architettura di napoli), i nomi ? sono troppi.
Questa armata brancaleone di docenti -molti ancora con cattedra- ha sguinzagliato per anni manovalanza studentesca a costo zero nelle zone terremotate.
Funzionava così: io studente dei primi anni finisco in un corso X, lì scopro che inizia per me un viavai con l’Irpinia, faccio le schede, i rilievi, le foto ecc. – tu docente mi dai l’esame, poi quella roba (che io ti ho dato) tu te la fai pagare a peso d’oro dall’ente che ti ha dato l’incarico professionale.
Ma la cosa più grave è che questi boriosi cattedratici hanno poi proiettato e realizzato in questi poveri paesi feriti le fantasie più sfrenate.
Voglio un dossier su questi orrori, foto delle opere e sotto i nomi degli autori.
Esiste, qualcuno l’ha fatto? Teoraventura ne sai qualcosa?
Sante parole Lucrezia! E sarebbe una bella iniziativa sul territorio e PER IL TERRITORIO se quel che proponi venisse fatto (ecco una possibile iniziativa per LE COMUNITA’ PROVVISORIE liberamente organizzate sul territorio e riverberantesi su questo blog). Una maniera per passare all’azione, per dare prassi al nostro comune cemento paesologico. O no?
LUCREZIA tu vuoi i nomi; le opere; i simboli. Io ti posso raccontare i processi; ci sono dei saggi in cui analizzo i piani urbanistici di diversi paesi, sono segnalati sul mio blog. Il mio punto di vista è sicuramente piccolo e modesto, ma animato dalla passione per la verità, che molte volte può generare frettolose conclusioni.
Un abbraccio
Caro Stefano, il dossier con foto (molte foto) lo possiamo mettere qui- http://www.osservatoriosuldoposisma.com/campania-basilicata/campania-basilicata/doposisma-la-ricostruzione
io darei volentieri un contributo a raccontare questi martoriati paesi OGGI, le foto di archivio sono troppe, serve raccontare quel che c’è adesso.
… stefano: visto che gli altri sanno perfettamente come stanno le cose, quando è che tiri fuori i nomi, i dossier, le foto, TU?
E’ il metodo “palazzo gravina”, uno fa le schede e un altro se le vende.
Come la giarrettiera rosa: chi l’ha vista non-la-scorda-più….
Paolo, perdona la mia ingenuità – e sarò anche un po’ tardo – ma davvero con afferro la tua arguzia. Caso mai volessi delucidare, non mi vergognerei a far la figura del carabiniere delle barzellette.
Salvatore, se ce ne fosse bisogno (e qui per nulla) a te perdonerei tutto, perché sei una persona perbene, di grande finezza, sensibilità e cultura.
per cominciare, corrado beguinot, aldo loris rossi, agostino renna, giorgio grassi.
Ma questi nomi così che significano, senza le storie dei singoli casi, dei singoli piani, di tutte le vicende della ricostruzione (a partire dalla mia Teora)? Io di architettura non ne molto, per fare i dossier, ci vuole tempo per la ricerca, ci vuole anche un progetto editoriale, divulgativo, diffuso. Io posso farlo da precario della ricerca, da ricercatore free lance, ma ho da pagare l’affitto, prima.
Ho comunque delle presentazioni in ppt di vari convegni, lì le foto ci sono, i nomi anche. In questi giorni sto facendo vedere quelle immagini ai ragazzi delle scuole lucane.
Le caricherò su slideshare, per condividere e per diffondere informazioni.
E’ sempre stimolante confrontarsi con te, Paolo.
Arrossisco, ringrazio, incarto e porto a casa.