questo è l’articolo che ho scritto per il mattino. oggi mi godo la nebbia del mio paese. venerdì sono a maddoloni (libreria amletica) con terracarne. domenica non so se ci siete per incontrarci da rocco e fare il punto della situazione e parlare dell’incontro da fare a caserta il 15 gennaio. direi che è una cosa da decidere tra oggi e domani. saluti cari a tutti. questo blog ha tantissimi lettori, bisogna solo tornare con più lena a muoversi nel territorio, la rete non feconda nulla, la rete è frigida…..
arminio
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L‘anniversario del 23 novembre 1980 è l’anniversario di un grande lutto collettivo, il più grande della nostra storia. Questo non dobbiamo mai scordarlo. Abbiamo speso troppi anni a parlare di terremoto, ci siamo disposti a riflettere su quello che era accaduto, ma è come se la riflessione rimanesse sospesa. E rimane sospesa anche l’elaborazione del lutto.
L’Irpinia è sempre stata una terra dolente, una terra povera. I vent’anni che hanno preceduto i terremoto e i venti che lo hanno seguito hanno cambiato molto la nostra terra. Abbiamo lasciato la povertà ma non il dolore. Ed è un dolore su cui non sappiamo piegarci. Siamo molto più fragili che in passato, anche se adesso le nostre case sono in cemento armato. La nostra fragilità non è solo dovuta al fatto che l’economia del passato è svanita e quella nuova è appesa a un filo. La nostra fragilità è dovuta al cattivo umore. Ormai le nostre comunità sembrano reggersi unicamente sul mutuo sconforto. Si sta bene fino a quando stanno male anche gli altri. Il nostro malessere è sopportabile perché è replicato da tutti, perché i titoli più scambiati alla borsa irpina sono la diffidenza, il rancore, la sfiducia. Lo stato sentimentale dei nostri paesi è veramente sconfortante. La ricostruzione post-terremoto ha lasciato paesi con una taglia molto più grande di quella giusta. L’effetto è una vita sociale sgraziata, senza luce, senza speranze. L’unico vero conforto è la bellezza del paesaggio, dei tanti paesaggi di cui l’Irpinia si compone. Ma anche questa bellezza è come se fosse in esilio. Forse dovranno nascere nuovi abitanti per goderla a pieno. Quelli che ci sono hanno il fiato corto e la vista annebbiata. E qui il pensiero va naturalmente alla classe politica.
In Irpinia quelli che comandavano ai tempi del terremoto hanno trasformato la loro vita in uno stucchevole esercizio di galleggiamento, senza avvedersi che galleggiano nel vuoto. La società irpina va avanti per inerzia, i vecchi natabili della democrazia cristiana sono qui tra noi solo per esibire un paesaggio di rovine morali e intellettuali. Non c’è una sola idea che possa definirsi tale. E non c’è neppure il coraggio che le idee messe in cantiere dopo il terremoto erano idee sbagliate. Il trentunesimo anniversario del terremoto ci mette sotto gli occhi un’Irpinia che non riesce a trattenere neppure una minima parte dei suoi giovani migliori, un’Irpinia con fabbriche morenti, con ospedali che spendono molto e curano poco, un’Irpinia che non sa trarre i benefici dovuti da grandi risorse come l’acqua e il vento, un’Irpinia che ha la punta delle sua montagne arrugginita come un coltello che non usa più nessuno, un’Irpinia in cui è sbiadita la comunità del paese senza che prenda forza quella dei territori omogenei.
La lista delle lamentazioni sarebbe infinita. E allora è il caso di ricordare che, a dispetto dei tanti errori fatti in questi trentuno anni, oltre al paesaggio abbiamo ancora tanti centri antichi molto belli. E abbiamo prodotti agricoli eccellenti. Stare qui è più insensato che stare altrove solo per chi non prova a trasformare la nostra terra del rimorso per farla diventare terra della riscossa. Un compito del genere non può essere delegato a nessuno. Lo si svolge ogni giorno, anche in attività silenziose e appartate. C’è bisogno di un altro terremoto che butti all’aria antiche pigrizie e sterili furbizie. Non verrà dalle faglie, ma dai generosi e dai folli che vorranno dedicare tutta la loro vita a questa terra.
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…è dai folli che viene la profezia. Dai testimoni l’esempio; mi pare che abbiamo urgente bisogno degli uni e degli altri. Stamattina vorrei essere al mio paese e non a Napoli, mi piacerebbe andare sulle doline carsiche che risucchiano i paesi dalle mie parti e guardare in basso negli inghiottitoi; ne ho sempre tratto una vertigine: è così anche per il lutto collettivo. E invece, impotente nella potenza mediatica, guardo le immagini del fango messinese, i poveri corpi sommersi da una terra violentata e guardo le foto dell’Irpinia.Come disse un brigante famoso, oggi “se l’Italia avesse un solo cuore, glielo strapperei dal petto”ma ormai anche i paesi sono fatti d’osso…
Per domenica do la mia adesione. Se possibile diamo la possibilità a tutti di partecipare magari spostando il luogo dell’incontro.
per domenica aderisco, con me un funzionario statale che non misconosce la storia dei partiti e movimenti politici del novecento
vedrò di esserci e ci sarò
A 31 anni dal terremoto dell’Irpinia La realtà economica di una terra dell’interno che non aveva opportunità di sviluppo. Poi il grosso gettito economico della ricostruzione insieme all’industrializzazione, hanno illuso le nostre aspettative. Siamo ritornati a dove eravamo prima del terremoto. Ma questa volta – addirittura senza molti di quei valori che oggi in alte realtà europee sono la base per la costruzione di un futuro: i nostri bei paesi, hanno subito grosse perdite culturali; abbiamo avviato -per ignavia ed ingordigia -la devastazione dell’ambiente e del paesaggio senza alcuna prospettiva, senza saper definire e calcolare quanto spazio ambientale potevamo mettere in gioco. E non parlo della crisi economica (quella è un ulteriore fardello), che per i tagli lineari operati da gente ottusa e poco creativa, ci priva dei servizi basilari del vivere sociale. Ci son rimasti però i politici ever green di allora (ed i fedeli vassalli), che hanno sbagliato scelte e strategie di sviluppo (oggi l’Irpinia si spopola, quindi la politica della industrializzazione a tutti i costi e della esaltazione del terziario e dei servizi sembra che si stia avviando al giudizio storico del fallimento) teorizzando il clientelismo, e che continuano a sbagliare; ma questa volta senza la demagogia di aiutare il territorio ma con l’arroganza di conquistare spazi di potere. Ancora non ho sentito nessuno dire cosa fare, ed essere conseguenti nel perseguirlo, per realizzare un modello sostenibile per l’Irpinia. Puntiamo, ad esempio, sulla piattaforma logistica (sic !) e vengono minimizzate tutte le proposte che mettano al centro una visione innovativa dell’uso del paesaggio, dello stare nei paesi, del ricostruire una identità attraverso i valori ambientali che l’irpinia ancora può e deve difendere.
p.s. Domenica ho un impegno verso il mare. Se riesco a liberarmi cercherò di portarvi un pò di “aria amalfitana”.
bravo luca, un intervento il tuo molto preciso. direi che il nostro blog può fare di più per diffondere le idee che illustri qui, forse è il caso di pensare a una paginetta da ciclostilare e dare davanti alle scuole, insomma un po’ di militanza….
La militanza … già la miltanza….
Ognuno può fare di più, ma io la mia militanza la faccio …provando a superare di volta in volta un pò dei limiti che si hanno (che a colte sembrano insormontabili).
Caro Franco, ieri Bisaccia e il suo castello sono stati visitati da un gruppo di una quarantina di persone provenienti da Bari e che oggi ha fatto tappa a Conza della Campania e ad Aquilonia, al museo etnografico. Questo è merito anche di Terracarne, fra qualche giorno ti dirò i dettagli.
Non so se sei consapevole di ciò che stai facendo per l’Irpinia.
Il solo fatto che si inizi a parlare della nostra terra non associandola al terremoto o alla ricostruzione ma ai tuoi libri, testimonia una evoluzione positiva in corso.
con stima a.m.