
Non è più il carro a maciullare l’erba
sono fermi i denti della macina
l’asse esposto nel grasso è bloccato
l’edificio accoglie il carico di nebbia
si addensa la forma del campo
sul foglio dei catasti nel largo
lo spazio si riapre alle semine
per ogni solco una scaglia di silenzio
la mano che depone sabbia
il rito è la frusta sui nervi delle piante
una schiena che si incurva ai principi
del torcere e del liberare i cocci
sbucano dalla parete i resti di una festa
antica storpiatura delle usanze
la trappola minerale dei calcinacci
la presa poderosa del ramo storto
la ruggine dell’orto prende a schiaffi la casa
dal camino salgono le ceneri
sento le voci uscire dal pagliaio
perse come aghi a ricucire la trama
del racconto che non si raccoglie
domani il giorno si rende in fotocopie
gli sbiaditi prendono tutto per buono
nell’apparenza il vero li assiste da lontano
Antonio D’Agostino
Nel contempo intensa e delicata ; vi si innesta una lettura critica della realtà né moralista né greve. Tradisce , nello stile, la nobiltà e dolcezza d’animo dell’autore
“Gli sbiaditi prendono tutto per buono
nell’apparenza il vero li assiste da lontano”
Bella chiusura, significativa e delicata come un’acquamarina.
grazie Saldan, da ammirare anche il grande scatto di Salvatore Di Vilio: una visione!
ça va sans dire!