di Eliana Petrizzi
In giro per i paesi ricostruiti della mia terra, crollati per colpa di un terremoto, o più comunemente della fine di un’epoca.
L’Italia è una zingara che, nata bella, non si è mai curata di apparire migliore. Così, quando si deve preparare, si trucca male, indossa gli abiti sbagliati, finendo sempre per somigliare a una puttana.
Dalle nostre parti ogni cosa resta in bilico tra il “non si è fatto” e il “si è fatto male”. Chi ha amministrato avrà cercato di ricostruire. Il viaggiatore sa che tante volte il modo più sicuro per uccidere un posto è proprio quello di riportarlo in vita. Le persone che ci abitano borbottano tra loro in piazza, dicendo che le case moderne fanno schifo, che quello non si è fatto e che quell’altro si è fatto male. Ma quando l’occhio del forestiero nota quelle stesse cose, eccole fiere delle pietre senza sale di muri e strade. Se scrivi dei loro paesi e non parli del nuovo, ti diranno che hai parlato del proprio come di un posto di morti tra le macerie, che noi delle città facciamo pena perché ignoriamo la lentezza del tempo, la ricchezza delle ore vuote, il valore dei vecchi, la salute del buon cibo; in un crescendo di aspetti che, partendo dal vero, finisce nella retorica campanilistica più melensa. Se indaghi a fondo nella storia di ciascun paese ti accorgi che ogni storia è diversa, e un poco si assomiglia. C’è stato chi il proprio paese lo ha amato davvero, e che perciò avrà fatto in buona fede quanto ha potuto per tirarlo fuori dal crollo. Se avrà fatto bene avrà avuto contro la schiera dei disfattisti, se avrà fatto male lo stesso. Alle elezioni ci saranno stati candidati convinti che l’unione fa la forza, che la tenacia delle idee può contrastare il potere marcio delle cose. Ci saranno stati giovani volontari convinti che bastino impegno e sacrificio per fare dell’Italia zingara una donna per bene. Ci sarà stato poi chi ha sbagliato per mestiere; per intenderci, quelli che la domenica si tirano a lucido con l’abito migliore, ma a cui nessuno si avvicina, perché da sotto il vestito indossano mutande sporche. Questi personaggi valutano, approvano e firmano provvedimenti che hanno a che fare con le vite di ciascun abitante. Tra questi provvedimenti, quelli che riguardano il capitolo tipicamente italiano degli sprechi, delle diseguaglianze e di tutte le cose che non si faranno mai. Personaggi sconfortanti su cui si riflettono tutte le scommesse perse degli ultimi anni: persa la scommessa di un ammodernamento strutturale del Paese, persa quella di un elementare buon senso nell’amministrazione della cosa pubblica. Classe dirigente zavorrata da figure il cui peso è pari alla loro nullità umana prima, e culturale poi. Quelli che hanno distrutto i propri paesi oggi stanno da una parte, ma già tessono rapporti per passare dall’altra, non appena, come i felini, sentiranno nel vento che la preda si sta spostando. Dopo le elezioni, tutti vedranno l’eletto seduto con le mani del nullafacente che è sempre stato, i piedi che a stento toccano per terra, le scarpe nuove di chi non ha mai percorso veramente una strada, che tra la gente c’è stato solo quando doveva prendere, ma che poi, quando gli è stato chiesto di restituire, si è fatto fotografare su un 6×3 con frasi fatte e, ben in vista, il solito paio di braccia conserte.
Soluzioni a questo stato di cose io non ne conosco, anche perché qui l’irrimediabile è struttura portante delle cose. Senza, pare, non si riesce né alzarsi né a cadere. Se ti alzi ti diranno che era meglio se stavi a terra con gli altri, se sei caduto avrai la comprensione di tutti, in compagnia delle ordinarie miserie della vita. Meglio allora andare nei paesi col passo lieve della poesia, dove i crolli prendono una strada tutta loro, dove dietro le cose che non si aggiustano si impara che nella vita le cose migliori riescono se si assecondano le curve, se si perdona spesso, se ci si aspetta l’essenziale.
Penso che l’opera e il libro di Franco Arminio sia un intreccio interessante tra un suo sentire e una volontà di dare valore e riscattare ciò che si ama e si odia: il paese.Fusione tra l’ipocondria,la voglia di superarla con creatività e intelligenza,stupore per la meraviglia che caratterizza ogni paese e nello stesso tempo sdegno per ciò che non è possibile cambiare che diviene accettazione della bellezza e lotta ,impegno civile per modificare la realtà.Il tutto in squarci di prosa poetica di alto valore artistico-letterario. teresa di maria
Io questo sito lo divoro ogni giorno che viene pubblicato qualcosa, sia esso un testo bello come uno meno bello (o piacevole, leggibile, scorrevole…dir che si voglia).
Forse perché assopiscono in me una sorta di malcelata nostalgia per una terra che ho abbandonato e che amo sempre di piú ogni volta che torno (sono santermano).
Ma quando leggo testi come questo, ho i brividi.
Standing ovation e chapeau.
Nicola Digirolamo
http://www.flickr.com/photos/smarfis/
Io divoro questo sito.
Ma quando leggo testi come questo che assopiscono una strana nostalgia dei luoghi della mia infanzia che mi assale ogni tanto, non mi resta che alzarmi in piedi ed offrire una piccola standing ovation.
Chapeau.