miniature di fabio nigro

È uno zio d’America. Sono decenni che vive a New York, ma in fondo non ha mai lasciato il paese.
Visitiamo il cimitero. Si ferma davanti alle tombe, legge il nome e mi racconta com’è finita.

Aveva tre anni e ingoiò una scatola di aspirine.

Il fratello giocava col fucile da caccia del padre. La sparò in cucina.

Era l’unica donna del paese che sapeva cavalcare e solo lei, finora, è morta cadendo da cavallo.

Viveva in svizzera, si stava asciugando i capelli, poggiò il phon nel lavandino.

Quella notte la madre sognò il marito morto. Era ai piedi del letto e bruciava.
Quella stessa notte, ad un migliaio di chilometri di distanza, in un’auto finita contro il muro di una galleria, bruciava il corpo del figlio.

Era seduta davanti al fuoco. Il fulmine passò dal camino.

Il paese non si scompose quella sera di novembre, cadde una sola trave e la colpì alla testa.

Sapevano che andava sempre a defecare dietro la stalla. L’aspettarono e fecero sparire le feci con una pala, quando si voltò non trovò niente. Cadde in depressione.

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