Quando vivevo a Cosenza, gli amici di Milano dicevano: “Ma dove vivi adesso? A Catanzaro, a Caserta?”. Metterli davanti a una cartina muta, come si usava a scuola, e indicare Cosenza avrebbe portato a risultati catastrofici ed era gente mediamente piuttosto istruita (o così supponevo). A Milano, nel 1950, esistevano tre pizzerie, il sud era Napoli con le canzoni e il Vesuvio col pennacchio. Un secondo immaginario meridionale fu quello della Sicilia del Gattopardo (il libro, il film), un sud mitico, fuori dalla storia, ma sontuoso nella sua decadenza. Poi ci fu la grande migrazione degli anni del boom (“non si affitta ai meridionali”). La Stazione Centrale di Milano e Porta Nuova a Torino erano le grandi cattedrali dove si recavano i pellegrini in cerca di lavoro, riscatto sociale, libertà dal paese. Il terzo immaginario del sud è un po più trash. Bisogna ricordare che Domenico “Mimmo” Modugno di Polignano a Mare (come Pino Pascali) costruì la sua fama come cantante del folklore siciliano (“Lu tempu de lu pisci spada”) e, cosa ancora meno nota, fu l’agente cinematografico di Franchi e Ingrassia, campioni d’incasso nei primi anni sessanta e comici della tradizione popolare. Non gli conveniva dichiarare la sua origine pugliese.
Alla Puglia non corrispose un immaginario fino alle commedie cochon di Lino Banfi, spesso ambientate a Trani o sulle cittadine della costa, e il dialetto strascicato del comico pugliese divenne patrimonio della nazione.
Rimanevano però luoghi fuori da ogni rappresentanza dell’immaginario. E’interessante notare che il recente e modestoBasilicata coast to coast ha suscitato un orgoglio regionale e ha spinto i lucani del Nord al cinema per ammirare paesaggi da cartolina e inventarsi una nuova forma di nostalgia. Oggi direi che ci sono ancora tanti luoghi in cerca di una rappresentazione (per usare i copyright di Franco Arminio, l’Irpinia d’Oriente; i paesi giganti della cintura napoletana, in parte la Capitanata ecc.). Che sia un bene o un male è un’altra storia.