di luca sossella
Ieri sera a Pisa, ero lì per parlare di libri, ma sempre più di sovente mi capita di pensare che quelli che fanno il mio lavoro con i libri ne stiano facendo un altro, non importa, ieri sera il mio amico Sergio Bianchi di DeriveApprodi mi ha regalato il libro di Franco Arminio + film di Andrea D’Ambrosio “Di mestiere faccio il paesologo” che ha pubblicato da poco; il dvd non l’ho ancora visto, lo guarderò la notte fra il tre e il quattro novembre (quando sarò a Torino) ma il libro l’ho letto tutto d’un fiato in treno, poi stamattina all’alba (dormo pochissimo, non so se vi interessa) ho riletto i testi che mi ero segnato così > che significa che li devo rileggere a una persona che non c’è più, ma io continuo a mettere da parte i testi con questo segno > per leggerglieli e spesso li leggo a voce alta, chiedendo Che te pare? ma non c’è nessuno che mi stia a sentire, sebbene spesso io
senta un sibilo di approvazione. Che non è neanche giusto dire “sibilo”, ma se ti metti a cercare le parole è finita. Tanto vale essere imprecisi e vergognarsi di quanto si è scritto e sempre avanti. Una volta ho detto a uno Tu potresti scrivere bene, ma non hai la stoffa per vergognarti di quello che scrivi. Ad ogni modo non dovrei mettermi in ascolto di sibili (che sarebbe giusto nominare in altro modo). Un mio amico neurologo, è talmente famoso nel mondo che non posso nemmeno nominarlo, per me è un genio assoluto, un giorno prenderà il Nobel secondo me quel mio amico lì, dico solo che abita in Emilia, ma non c’è quasi mai. Un giorno ho telefonato, era a Tokyo. Ho chiamato una settimana dopo era in Pennsylvania. Poi mi ha chiamato da Vienna lui, mi ha detto So che mi cercavi. Gli ho detto che non era vero, non lo cercavo, piuttosto non lo trovavo. Lui ridere. Ma questo non c’entra niente, volevo solo dire che quel mio amico lì mi ha detto che ho la vocazione a separarmi, non dagli altri da me stesso. Gli ho risposto che il cardiologo, ad anamnesi fatta, mi ha detto che sono candidato all’infarto. Ecco, non mi sento né vocato tantomeno candidato, sono due cose di cui preferirei farne a meno, grazie. Mia sorella dopo l’ictus (che ha deciso di chiamare patatrac) è entrata in conflitto con gli avverbi, non vuole sentirli nominare, fosse per lei li toglierebbe di mezzo per sempre, t’immagini parlare e scrivere senza avverbi? Non so neanche perché mi metto a dire queste cose intime. No, invece lo so perché. C’è di mezzo Arminio e la poesia che Arminio scrive.
Ora, senza volere strafare mi pare che non sia azzardato dire che Arminio è un poeta petrarchesco più che dantesco, ma sul limite del mio torrente, facendo attenzione a non scivolare, desidero anche ripetere adesso parole altisonanti di un maestro insuperabile, Gianfranco Contini: Petrarca (e anche Arminio, dico io) fa dell’autobiografismo trascendentale, accentuando con rilievo meramente formale i dati biografici sinceri o fittizi”.
Non vi voglio segnalare le cose più significative, non si deve leggere così Franco Arminio, chi legge così prenderà la scossa, e anche se camminerà guardingo a chi legge in quel modo gli cadrà una tegola in testa. Arminio va letto come si guarda il cielo. Se non sai guardare il cielo impara. Il mondo è pieno di auguri disposti a insegnare (gratis) la lettura degli auspicia.
Il libro è suddiviso in Versetti degli emigranti, delle vecchie strade, dal paese della cicuta, dell’edicola, degli ipocondriaci, della transumanza. Eccoci al punto. Ne scelgo alcuni qua e là. Un altro accorgimento che porta beneficio è leggere il libro iniziando dall’ultima pagina.
io sono la pecora nera, la pecora smarrita
tra le pecore di ferro della vita.
abbiamo altro che pensieri nella testa,
noi nella testa abbiamo freddo e luce.
mi dedico alla morte da una vita
e lei mi dedicherà solo un istante.
chi va a trovare un malato in genere
si augura che non guarisca.
facevo la seconda media
e la faccio ancora.
secondo me caino e abele erano cugini.
fanno la coda per disprezzarmi.
non pensava mai niente,
ma il giorno dopo
la pensava diversamente.
Non vi dico come va a finire, anzi come comincia, trascrivo solo quella poesia dedicatoria che sta in esergo:
a mia nonna,
che era appena tornata
dall’america
e ogni tanto mi chiedeva
di accendere un fiammifero
e darle fuoco sulla schiena
http://www.deriveapprodi.org/2011/05/di-mestiere-faccio-il-paesologo/
Bravo Sossella, lei ha colto una grossa fetta dell’essenza poetica di Arminio, e anche una delle modalità con cui approcciarlo, poeticamente parlando.