lo scrittore nomade

Chi è Franco Arminio? Uno che va in giro per paesi e li descrive. Certo, ma non solo. Uno scrittore? Sì, uno dei più originali delle ultime generazioni. Ma non basta. E’ soprattutto un eroe culturale. Appartiene a quella genia di scrittori che fanno qualcosa di più che scrivere: testimoniano con la loro vita e la loro presenza l’incontrovertibile. Una volta si sarebbe detto che sono degli intellettuali. Penso a Sciascia, a Pasolini. Oggi lo scrittore che supera la distinzione tra arte e vita è qualcosa di più: come Roberto Saviano, un eroe culturale dei nostri tempi, oltre che uno scrittore. Chi legge “Terracarne” (Mondadori, pp 353, §18) incontrerà un modo ancora diverso di essere eroi culturali: dimesso, paziente, laterale, diagonale.  Arminio, ipocondriaco all’ultimo stadio, vive su di sé, sulla sua pelle quello che racconta dei paesi del suo Sud. Lo fa in un modo assoluto, estremo, eppure dolce e riflessivo. con ‘Terracarne’ ci ha dato un libro straordinario che sarebbe da leggere nelle scuole per far capire come gli scrittori s’impastano con la realtà e la somatizzano. Una scrittura pungente e insieme calma, affabulante e stralunata.

marco belpoliti, da “l’espresso”

6 pensieri riguardo “lo scrittore nomade

  1. Torna dal Belpoliti il suggerimento di riportare nelle scuole quella letteratura dell’incarnato italico più vero: non le menzogne o la retorica, o le costruzioni dei romanzi, ma quel livido sguardo amaro e riflessivo di Terracarne che è stato di molta nostra grande letteratura (essere eroi di carne in terra). Continuo a ripetere che dal Cristo, al Brigante, passando per Fontamara, per Arturo già un pò meno, ma tra una luna e un falò, giace la nostra memoria più vera. Viaggio in Italia di Piovene, fu un pre-terracarne senza coinvolgimento sentimentale, ma fu anche l’ultimo dei viaggi di un paese che si osservava. Anche quello bisognerebbe riportare a scuola…se ci fosse una scuola, ma non a caso Franco Arminio, insegna.

  2. Anche nella presentazione di Terracarne fatta a Foggia il preside Bonni’ fece cenno al libro di Franco come testo di formazione.questa cosa fa onore al
    Libro e al suo autore che riesce a dare universilita’ ad una scrittura del territorio. Territorio di vento ,terra, luce ma soprattutto di sentimenti impastati nell’anima e nella carne di chi legge.La verve poetica della prosa di franco va anche oltre,facendo raggiungere il testo picchi letterari non consueti.

  3. Belpoliti è un ottimo critico, ma da qui a comprendere la scrittura di Franco direi che ce ne passa…lo stesso confronto con Saviano non solo è inopportuno ma, se mi posso permettere, del tutto fuori luogo. Non si può paragonare una scrittura sofisticatissima, elegante e difficile come quella di franco alla letteratura “sociale” attuale così in voga, così smerciabile e consolatoria. Sciascia e Pasolini, ma anche la Ortese, anche Gadda o, perché no?, Leopardi e Dante, quando erano vivi, non erano certo idolatrati e non si può dire che abbiano ricevuto dall’Italia un trattamento degno del loro valore. Mentre Saviano è più che sopravvalutato, eviterei questi confronti, mi suonano offensivi.
    Riguardo al concetto dello scrittore come eroe, dio ce ne scampi!
    C’è una frase che mi piace ricordare, una frase che nulla ha a che vedere con presunti eroismi (lasciamo perdere queste definizioni altisonanti e limitanti, lasciamo perdere il mondo degli eroi- così autoassolutorio- e guardiamo agli uomini). La frase è di una Scrittrice che io accosto volentieri a Franco, e lui lo sa bene perché la ama quanto la amo io, non sulla base del presunto impegno civile che nulla ha a che fare con la Scrittura, ma sulla base della poesia. “Si scrive per tornare a casa”, si scrive da luoghi di esilio, lo scrittore non è e non può essere un eroe, egli è un esule, figura molto più disumana e alta.
    Lo scrittore non è un eroe, è un martire.
    “For oh, to some/Not to be martyrs is a martyrdome” scriveva il grandissimo John Donne, il vero martirio, per molti, è non poter essere martiri.
    Ed è quì che nasce la terracarne della scrittura di franco, da questo erpice di kafkiana memoria che incide il suo corpo ad ogni sguardo, ad ogni parola, ad ogni fitta che gli attraversa la cassa toracica, un dolore che lo perseguita e che lo avvicina alla terra ma non alle persone, al mondo ma non all’umanità.
    Chi conosce veramente franco sa di cosa parlo, sa che la parte più vera, più molle e autentica e più bella della sua scrittura sta dentro e non fuori, sta in quel limite che non riesce mai a superare e del quale ha così paura, in quell’esilio autoimposto al quale si è condannato, sta in quello sguardo non impegnato ma fluttuante, sfilacciato e non umano che parte da sé e che a sé ritorna, sempre, inesorabilmente, disperatamente. Sta nella sua capacità di “sentire” più vicini i morti che i vivi odierni. In questi tempi di scrittura facile, la grandezza dell’opera di franco sta altrove, sta nella sua descrizione aristocratica, alta, ossessiva e dolorosa di quel “giro della mosca nella bottiglia” che è diventata la vita, partendo dalla propria, esponendo il proprio corpo e i suoi sussulti, facendo arrivare la propria voce da quel luogo lontano e inarrivabile che è il suo cuore.
    Definire ( de-finire) franco uno scrittore civile è il peggior torto che gli si possa fare, significa sminuirne la grandezza e la potenza, significa riportarlo sulla terra e incatenarlo in una definizione che non gli appartiene, significa farlo correre sulla “bocca comune” e consegnarlo all’attuale, al moderno, al corruttibile e, di conseguenza, all’oblìo.
    e.m.

  4. Anch’io condivido parola per parola quanto ha detto Elda . Quanto dice, a proposito di martyrdom, cioè di martirio, in rapporto all’essenza dello scrivere di Franco Arminio, è davvero centrato. Aggiungo che c’è una parola più antica e più ricca di sfumature di significato, che ancor meglio dà il senso di ciò che lei dice; è greca , e suona come “sparagmòs”, cioè lo “strazio”, il ridurre a brani il proprio corpo e , per traslato, la propria esistenza; nel caso, per la scrittura. Lo strazio del poeta, dunque, che vede – col terzo occhio- ciò che gli altri non vedono; è in questo suo vedere, nell’atto del vedere e nel non potervi sfuggire, che si consuma lo sparagmòs, lo strazio del poeta. Esattamente l’essenza dello scrivere di FA.
    Forse in questo sta il valore civile della sua scrittura; forse in tal senso va inteso ciò che dice Belpoliti. E sì, Saviano, la scrittura di Saviano, c’entra ben poco . Ma mi pare che l’accostamento avesse altro valore.

  5. Amici, ieri sera ho letto a tardissima ora il, post che riproduce la recensione di Marco Belpoliti e ho esitato a commentarla. Belpoliti ha sempre recensito i libri di Franco ma stavolta ha fatto un lavoretto raffazzonato che non evidenzia la novità stilistica e la messa appunto del nostro amico, anche se condivido – da ex uomo di scuola – l’auspicio di far circolare il libro tra i giovani. Il valore civile della scrittura di Franco va riconosciuto, quello che manca è la sottolineatura poetica del suo percorso letterario. Belpoliti sa e avrebbe fatto bene a rimarcare che ogni scrittura nasce da ferite e che “l’io fuggiasco di un poeta” come apparentemente appare, cioè quello che si materializza nella pagina scritta, intesa come una pagina senza il nome del suo autore, si sedimenta in essa ma non prescinde mai dalle inquietudini e dal luogo e il tempo che l’autore vive ed il ‘nostro’ non è mai svincolato dall’inquietudine fino a confessare la paura fisica del morire mentre la la vita trapassa i luoghi e le cose.
    La cifra stilistica del sentire, secondo me, è sfuggita a Marco Belpoliti, credo per una sorta di supponenza a confessare emozioni/commozioni. Egli ha temuto di rimarcare l’essenza della prosa poetica che è rimane sempre poesia dell’io con cui coscientemente il lettore deve fare i conti per il messaggio e la fede di vita che ha.
    Beh, non sono un critico, né voglio esserlo, ma credo che sia doveroso da parte di un critico ammettere, anche dissentendo – dire chiaramente dove l’autore sia andato a parare e dove lui stesso diventa verità insormontabile e non eludibile.
    Un abbraccio nel perdono reciproco, Gaetano Calabrese, 22 nov.- ore 18:34 =

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