letteratura vegetariana

Metto qui un pezzo uscito oggi su La Lettura – inserto del Corriere della Sera

La paesologia di Franco Arminio, l’alberografia di Fratus e le escursioni di Sapienza

Denuncia ambientale e impegno civile: la narrazione come stile di vita

di Ida Bozzi

Nel testo teatrale Oggi e dopodomani da poco pubblicato dall’editore palermitano uepunti, l’autore praghese Patrik Ourednik immagina una «fine del mondo» in cui le città, le strade, i campi cominciano a scomparire, mentre dappertutto lo spazio si accorcia e il tempo si restringe: l’ultima stanza in cui si rifugiano i personaggi (italiani, nel testo) diventa sempre più piccola e le giornate durano pochi minuti, finché il processo inizia a estendersi in modo misterioso anche al teatro e al pubblico.

Ma le «catastrofi del microcosmo», non solometaforiche bensì concrete, ad esempio ecologiche, sono raccontate o avvertite sempre più spesso anche dagli scrittori italiani: ci avvisano gli scrittori, il dissesto del territorio e il degrado della biodiversità corrispondono spesso a un dissesto dell’umano. E viceversa: dove si cancellano culture e radici, pare sgretolarsi anche il territorio. Fin qui, niente di troppo differente da classici pamphlet di denuncia, se non fosse che gli autori narrano sempre più spesso di esperienze «sul campo», lezioni, ricerche, scalate, performance, a volte lotte, sui sentieri e nei paesi, dentro le comunità con le quali cercano di instaurare un rapporto diretto e interattivo. È un passo più in là nella stessa direzione di Jonathan Safran Foer, divenuto vegetariano mentre scriveva il suo durissimo pamphlet contro gli allevamenti di animali, Se niente importa (Guanda): uno stile di vita coerente e intrecciato alla scrittura.

«I paesi stanno sparendo, sta sparendo un mondo e da questa sparizione noi che abitiamo i paesi siamo attraversati come da una slavina silenziosa»: così racconta Franco Arminio nel suo nuovo libro Terracarne, da poco uscito per Mondadori. Lo scrittore irpino, inventore della «paesologia» («una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia») nel libro percorre a uno a uno i molti paesi di un’Italia che ha patito in modo «troppo veloce il passaggio dalla civiltà contadina alla modernità incivile». Il suo cammino attraverso la Basilicata, i monti alle spalle del Tavoliere, l’entroterra campano tra Caserta e Salerno, l’Irpinia e il Cilento, è in parte un viaggio lirico, personale, anche segnato dagli attacchi di panico che lo sorprendono, dove però il personale è la condizione «di chi dalla carne soffre per la sua terra e dalla terra soffre per la sua carne», quindi potenzialmente comune. Percorrendo sentieri impervi e annotando tutti gli abbandoni, gli obbrobri del cemento, delle speculazioni e dell’interesse, dove la parola «povertà» ha assunto un significato deteriore («la desolazione è una cosa nuova per i paesi. Prima c’era la miseria»), l’intento di Arminio non è l’elegia («il problema dei paesi non è la loro morte, è la vita che li abbiamo costretti a vivere») o il compianto di ciò che non c’è più («non si fa manutenzione dell’agonia»), bensì la speranza di «un altro Sud, fatto di persone che cominciano a scambiarsi abbracci veri e parole intense, a spezzare il pane comune dello scrupolo e dell’utopia».

Il rapporto con gli abitanti, il percorso comune, è un fronte nuovo, con autori che abbandonano (in parte) le tastiere dei computer e percorrono il territorio, coinvolgono le persone o ne condividono necessità, perfino barricate o proteste. E ne diventano cantori. È quello che ha fatto Arminio con le sue lezioni di paesologia, per esempio, o partecipando alle lotte contro le discariche. Oltre alla «scuola della paesologia» («incontri e percorsi con persone cui faccio vedere come lavoro», spiega Arminio), anima gli incontri delle «comunità provvisorie»: «Non è mettersi a casa e teorizzare—precisa l’autore— è qualcosa che faccio giorno per giorno. E la risposta è molto incoraggiante: l’altra sera a Pagani c’erano cento ragazzi e questo significa qualcosa. Ma non sono una star, non voglio che diventi una specie di fenomeno da baraccone, io ci tengo che rimanga una cosa vera, non che diventi una merce come le altre».

Oppure, in modo diverso, è il lavoro di Tiziano Fratus, con la sua ricerca dedicata agli alberi secolari, per un «turismo delle radici e delle creature» senza confini, dall’Oriente all’America alle Alpi. «La cosa viene da un mio bisogno personale—racconta Fratus—da cui sono nate poi varie esperienze, la ricerca letteraria e fotografica, l’alberografia, l’idea della mappatura degli alberi. Mi sembra che il mio lavoro sia utile anche da un punto di vista sociale, e cerco di metterlo al servizio della comunità o delle città». E lo fa con i libri, ma anche preparando itinerari per cercatori di alberi, convinto che la conoscenza «può incidere e aiutare a rivalutare anche territori provinciali marginali». Ne scrive tra l’altro nel libro illustrato Homo radix (edito da Marco Valerio), in cui lo studio delle sequoie in California o degli alberi nostrani si lega alla polemica contro il turismo dimassa, e si cita la ricerca di Henry David Thoreau in Walden ovvero La vita nei boschi, o la Natura come cura dell’inglese Richard Mabey.

C’è molto in questi autori del rapporto profondo e necessario con la natura di Thoreau; c’è meno dell’approccio del guru montano Corona, di cui non hanno certi atteggiamenti sapienziali: anzi, come scrive Arminio, «possiamo solo scrivere parole penultime mentre il tempo decide cosa fare di noi». Condividono la fragilità del mondo. Anzi, proprio su questo insiste Davide Sapienza, traduttore italiano di Jack London e raffinato autore di romanzi e testi su natura e montagna, come La strada era l’acqua (Galaad) o il nuovo La musica della neve (Ediciclo). Suo è anche il documentario La democrazia del camminare per la televisione svizzera, su L’Aquila dopo il terremoto, in cui parla del «diritto legale di ogni uomo di avere accesso alla terra». Sul suo sito scrive dei diritti dei cittadini all’acqua, all’aria pulita. «Sto cercando di lavorare anche sui “diritti della natura”—spiega Sapienza —. È qualcosa di cui facciamo parte, non possiamo essere solo sfruttatori, dobbiamo darci dei limiti. Sono ottimista, qualcosa sta cambiando e sento che le persone avvertono questa identità, come se dovessero solo essere “riattivate” per coglierla. Abbiamo però un problema di linguaggio, finché parliamo della natura come di una cosa esterna a noi». Proprio per questo, raramente Sapienza fa presentazioni in libreria: «Preferisco le camminate letterarie, o gli spettacoli. Qui si crea un legame particolare con la gente».

http://lettura.corriere.it/letteratura-vegetariana/

4 pensieri riguardo “letteratura vegetariana

  1. Per una volta ho raccolto un pò di soddisfazione dalla lettura di questo articolo, già sull’inserto del corriere della sera. Lo considero un tassello importante , un riconoscimento anche all’impegno che un gruppo ambientalista come Amici della Terra, sta tentando in irpinia – e non solo – in questi ultimi anni. La partecipazione alle comunità provvisorie, la lettura della paesologia, l’impegno accanto ad Arminio ed in Cairano /x nel passato, sono state anche una base – non l’unica certamente – per programmare altre proposte strategiche e di attenzione sul territorio irpino. Avere invitato al lago di Conza, questo settembre nell’ambito di Acqua Sonante- Tra i Sic i corridoioi fluviali irpini – Davide Sapienza che ha letto passi dal suo libro “La Strada era l’acqua” , segnala l’evidenza di una costruzione tutto sommato comune di una visione futura dei nostri territori.

  2. L’articolo postato da David Ardito, in uno con quanto segnalato da Luca Battisti, pone ancora una volta all’ordine del giorno una questione decisiva , questa :

    Sarebbe stata possibile una nuova attenzione al territrio/ai territori, al paesaggio
    ( con quanto ne consegue sul piano culturale e socio-politico) senza la grande intuizione /invenzione arminiana della “paesologia” , come scienza arresa?

    Sarebbe stato possibile il riaccendersi di fiamme di attivismo senza il suo straordinario impegno letterario e/o il suo spendersi come animatore della Comunità Provvisoria prima e delle Comunità Provvisorie poi, con i rispettivi blog?

    Mi piace sottolinearlo, perché credo sia giunto il momento, proprio con l’uscita di TERRACARNE e l’accendersi del grande interesse della critica per i libri di Franco Arminio a livello nazionale e extranazionale, di evidenziarlo con forza .

    Il tempo si sta piano piano incaricando di mettere nella giusta prospettiva la vicenda di Cairano 7x , al di là delle polemiche contingenti .

    Il tempo già comincia a dire a chiare lettere della grande capacità di FA di suscitare gli stimoli giusti in tantissime persone verso “nuove narrazioni” capaci di ingenerare entusiasmo e voglia di fare, attraverso la proverbiale “serena obiezione” all’ esistente.

    La prima edizione di Cairano 7x ne è stato esempio lampante: persone giunte non solo dall’Irpinia, ma un po’ da tutta Italia e anche dall’Europa e dall’America, letteralmente conquistate dalle idee del “Museo dell’aria”, dalla suggestione di “coniugare computer e pero selvatico” con altre idee visionarie, capaci di attrarre sulla rupe del paesino più piccolo della Campania centinaia di persone dagli angoli più diversi della penisola.

    E’ grazie a questo che l’attenzione ai paesi e ai luoghi ha assunto significati nuovi, al di fuori dell’ottica paesanologica e si è dunque riacceso e rilanciato il dibattito e la mobilitazione su questi temi.

    Credo giusto e opportuno riconoscere a Franco Arminio questo merito. Non c’è modo migliore, da parte di coloro che frequentano IL blog e ne apprezzano l’idea paesologica, se non impegnandosi con lena ed energie nuove nella straordionaria avventura delle Comuiniotà provvisorie sparse per il territorio, i luoghi “arresi” e desolati dell’orlo e farli diventare cerchi concentrici d’un nuovo protagonismo.

    Parliamone, dunque.

  3. caro luca
    la paesologia è amica della terra, come ben sai…

    caro salvatore
    grazie per gli accenti calorosi di questo tuo commento.
    io penso che un problema del sud sia proprio questo: il calore lo si riserva ai lontani o ai morti. per me la rivoluzione passa per l’ammirazione dei prossimi e dei viventi. e da questo punto di vista non sono certo l’unico a meritare attenzioni. a caserta vedremo tante persone di valore. il sud è più ricco di quel che crede.

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