di Antonella Bukovaz
Sono dovuta venire a Topolò per poter scrivere dell’ultimo libro di Franco Arminio.Terracarne, Franco, la scrittura sono un luogo e ho bisogno di un luogo pieno di spazio com’è Topolò, piccolo paese sul confine con la Slovenia, per allacciarmi, far partire un collegamento, uno sguardo dritto che da questo oriente nordico raggiunga l’oriente del sud. Ho bisogno di stare immersa nel mio paesaggio per trovare il suo.
Più volte durante la lettura del libro mi sono chiesta cosa vuole Arminio. Vuole che andiamo a visitare i suoi paesi? Vuole che andiamo a visitare i nostri? Vuole sensibilizzarci a essere cittadini migliori, migliori abitatori della terra? Vuole desolarci? Vuole traslocarci? Farci migrare dalle nostre posizioni sedute verso altri sguardi? Mi chiedo tante cose perché Arminio è movimento, lui stesso si pone montagne di domande a cui cerca risposte piane, confluenti, a cui allearsi, in cui distendersi. Per dirlo usa parole senza trucchi, senza belletto. Anche i paesi gli piacciono così, senza trucco e senza belletto.
Franco mi fa pensare, con questo libro, a un aruspice che legge e interpreta i segni divini nelle viscere degli animali sparpagliate a terra. Solo che lui cava e distende le sue proprie viscere mescolandole alla terra. Ne ha in cambio una visione lucidissima in cui ogni particolare viene considerato e messo sullo stesso piano. Questo è reso possibile dallo straordinario lavoro sulla parola che fa Arminio, polverizzata sotto i suoi passi, e che rende la sua scrittura perfettamente asciutta, filtrata dagli strati della terra Irpina e dai suoi stessi reni. Ci può così dare le coordinate per una relazione con il paesaggio a partire da dentro. Quello che vediamo intorno a noi, il luogo in cui viviamo è anche dentro di noi. Siamo la stessa cosa. I paesi, Arminio li chiama creature. Abbiamo la stessa malattia e risplendiamo della stessa bellezza. Stare con le parole di Arminio mi fa sentire, “addensata proprio sull’orlo” ma in qualche modo al sicuro. Sono al sicuro tra le sue parole scoperchiate, che non nascondono nulla. Mi raccontano luoghi e sistemi nervosi, fallimenti, esibiti e intimissimi lamenti, tutta l’umana geografia di cui ho bisogno.
E mi toglie la paura
mi consola questa scrittura
mi risana
come passasse il camion della nettezza urbana.
http://www.leparoleelecose.it/?p=2460
veramente valido quest’articolo, mi rallegro!
Arminio è un sacerdote della desolazione che celebra sul altare del paesaggio la propria messa in mora.
questa recessione di antonella ha dei tratti di assoluta precisione. lo dico oggi, in una giornata assolutamente imprecisa.
NOTA A PIE’ DI PAGINA (DEL POST)
Creature addensate sull’orlo
sulle spalle l’ombra della morte
che li accompagna ad ogni passo
– negli spazi di paesi
– in labirinti di città
– in luoghi altri
– che gli son toccati in sorte
Piccoli fratelli già nutriti dagli strati
delle lande di qui e di terre altre
– in cui filtra l’ombra della luce
– che li abbaglia e li seduce.
Fratelli messi in mora sull’altare del paesaggio
– Impregiudicati da miti e da speranze
– nell’ ora e qui di sguardi dritti e luoghi alieni
– nel prima e poi di spazi con troppo pochi pieni
– nel c’ero e ci sarò di denudate e cupe stanze
Fratelli sulle rive d’un mondo all’arrembaggio
Creatura in fuga da questo mattino di cristallo
m’appresto ad omaggiare il balletto della morte
preso alla gola dalle vecchie e umiliate speranze
nella speranza d’un segno che mi salvi dal mallo
nudo della terracarne che anch’io ho avuto in sorte
aruspice d’ una realtà senza più rappresentazione
fratello messo in mora dalla mancanza di coraggio
senza altro belletto che questa sola trama di parole…
Creature polverizzate lungo un margine senza più visione
creature distese nel cavo della terra senza più ancoraggio
creature sfuggite alla memoria che de/forma la scrittura
la trama di parole intessute di punti di domanda corone
di rosari immersi nel respiro d’un tempo senza più natura
Visitare i paesi ?
visitare i morti?
Possedere oggetti?
Visitarci? Traslocarci? Desolarci?
Essere di più e ancora? Essere i migliori abitatori dei non luoghi ?
Noi rinchiusi in questi muri noi migranti d’altri sguardi e ciechi d’avventura?
Fare movimento
fare transumanza
col bastone e con la rosa
allacciare le cinture lungo il margine dei monti
senza trucchi
senza belletto
allineati e confluenti
dal paesaggio interno alle viscere del mondo
Al sicuro
nutriti d’ogni paura
creature addensate sull’orlo
affette dalla stessa malattia
nell’umana geografia del mondo
noi risplendiamo d’uguale e divergente bellezza…
S . D. A. , 22 . 12 . 2011
Rileggo e mi rendo conto che quello qui sopra è un commento in forma lirica, un “semilavorato” che ha bisogno di ritocchi..
Sto leggendo le pagine di Terracarne e provo un mix di sconforto, desolazione, uniti alla speranza illusoria per il futuro dei nostri paesi..in effetti, è sempre unica la suggestione che avvolge lo spettatore davanti alle forme architettoniche e alle testimonianze antropiche dei vecchi borghi….irripetibili, fantasmi viventi che lacerano l’anima..