
“Vivo il mio paese come un fantasma . Sono anni che non gioco per strada”
Antonio D’Agostino,
da “Un paese (appunti per un’ossessione)“
“Mia madre per chiamarmi si metteva alla finestra a urlare
L’urlo era cosi forte che lo sentiva tutto il quartiere
Capisco che non fosse come regalargli il cellulare
Però capivo all’istante quando era ora di ritornare
E le madri avevan dato dei confini a quei bambini che portavano in grembo
Quindi ci arrangiavamo noi ed erano gli anni di piombo”
Giancarlo Frigeri,
da “Chi ha rubato le strade ai bambini”
Giancarlo Frigieri è un cantautore italiano poco noto all’Italia del concertone del 1 maggio, quella dell’affiliazione e dell’autismo corale che tanto ci sforziamo di denunciare qui, quella che attraverso una falsa e gridata opposizione collettiva sfocia poi in una silenziosa connivenza individuale. Non è un caso poi che a trent’anni di concertoni siano corrisposti altrettanti anni di inarrestabile degrado delle arti, della società e della politica italiana. Guai a porsi delle domande, vige la legge morale dell’”Applaudo ergo sum” e poco importa se per dire chi siamo non abbiamo che una lunga lista di scontrini.
C’è tanta bellezza e perfino un pizzico di paesologia ai margini sonori, negli anfratti musicanti di quest’Italietta naufraga e banale oltre ogni misura, che si riduce a cantare cover di pezzi anglosassoni per celebrare una festa nazionale senza più mordente, senza più carattere e senso, oggi che il lavoro si rivela sempre più come la trappola ideologica del secolo scorso e sempre meno come un diritto. “Diritto al lavoro” e “libertà di culto” sono i miei due ossimori preferiti di sempre” ha scritto Fulvio Venanzini ed io non sapre dire di meglio.
Giancarlo Frigieri con il suo album d’esordio in lingua italiana “L’età della ragione” ha vinto il Premio Italiano Musica Indipendente 2009 come “Miglior album autoprodotto”. Nel febbraio 2010 ha replicato con “Chi ha rubato le strade ai bambini?” da cui è tratto questa traccia. Tra le mille cose che ha fatto e suonato e potete leggervi qui, ha collaborato con artisti del calibro di Walkabouts, Giant Sand, J Mascis, Califone, Fairport Convention, Modena City Ramblers, Nada, Oppure Offlaga Disco Pax, Giardini di Mirò ecc.
Questa sua canzone mi ha colpito per la capacità di critica sociale tagliente, anedottica e fortemente simbolica, che non stanca ma stringe il cerchio intorno al vero dramma dell’ambiente urbano e paesaggistico italiano: la trasformazione che questo ha subito in particolare negli ultimi trent’anni (ancora questi maledetti). La canzone si avvale poi di un flusso chitarristico trascinante che lascia un senso di vuota nostalgia per qualcosa che i paesi, le città, hanno perso e non sappiamo se riusciranno mai a ritrovare: la dolce anarchia dei bambini.
Su “Comunità Provvisorie” se ne era già parlato nell’”Elogio del bambino barbarico” di Paolo Mottana, sottoscritto e pubblicato dal “nostro” Antonio D’Agostino, inserisco qui il testo (trascritto a mano per l’occasione) di questa canzone oltre alla canzone stessa in un ideale dialogo che prosegue intorno al ruolo dei bambini nel modellare le nostre città, i nostri paesi, le nostre strade, ma soprattutto la nostra sensibilità di abitanti della comunità provvisoria per eccellenza, quella terrestre.
“Mia madre per chiamarmi si metteva alla finestra a urlare
L’urlo era cosi forte che lo sentiva tutto il quartiere
Capisco che non fosse come regalargli il cellulare
Però capivo all’istante quando era ora di ritornare
E le madri avevan dato dei confini a quei bambini che portavano in grembo
Quindi ci arrangiavamo noi ed erano gli anni di piombo
Ora mi dici che tutto è cambiato e certe cose non sono normali
Nel mio quartiere da trent’anni le strade sono sempre uguali
Vi ricordate quando stavamo in strada per ore da ragazzini
Ora che non ne vedo più mi chiedo chi ha rubato le strade ai bambini?
Le strade ai bambini
Mia madre non ha mai firmato moduli mentre faceva la spesa
O mi teneva con lei oppure mi lasciava a casa
Ed io restavo in strada con gli amici lei magari andava in centro
Non stavo ore da solo io e un monitor col mondo dentro
Oggi gli scarroziamo dappertutto basta che restino al chiuso
Perché per strada non si puo piu stare è pericoloso
Dici che parliamo col senno di poi e usiamo piu la testa
Non ammettiamo che le strade le pretendiamo in mano nostra
Vi ricordate quando stavamo in strada per ore da ragazzini
Ora che non ne vedo più mi chiedo chi ha rubato le strade ai bambini
Vi ricordate quando stavamo in strada per ore da ragazzini
Ora che non ne vedo piu mi chiedo chi ha rubato le strade ai bambini?
Chi ha rubato le strade ai bambini?
Chi ha rubato le strade?“
una canzone che mi porta indietro nel tempo..
A quei palazzi tutti uguali uno all’altro.. un po’ tetri che parevano grandi caserme tali da incutere anche un po’ di paura…
A quei campi di calcio malmessi dove bastavano due assi di legno ficcati in terra e rotolarsi nel fango a fare la lotta perche’ uno magari ci aveva fatto lo sgambetto per essere felici…
A quei giardini immensi che ci nascondevano quando facevamo forca.. che anche se non curati..noi vedevamo come meravigliosi.. che se tendiamo adesso l’orecchio possiamo ascoltare tutte le storie che hanno da raccontare e le cose che hanno visto…
Alla panchina di fronte al circolino dove ci incontravamo tutti i pomeriggi …e anche le sere dopo cena… noi che il cellulare manco sapevamo che sarebbe stato inventato.. e che comunque non c’era bisogno dell’sms.. sapevamo che a quell’ora saremmo stati tutti e che se qualcuno non veniva gli si andava a suonare a casa …
A quelle strade che conoscevamo a memoria… a quelle precise zone che corrispondevano ad altrettante compagnie e sapevamo che al giardino x c’era la compagnia di quello, alla panchina di fronte al bar il gruppo di quell’altro ecc…e ci si conosceva tutti ma con un senso di appartenenza al gruppo e di legame cosi’ forte che non ho piu’ rivisto..
Al mio piu’ migliore amico con cui tutte le mattine ci trovavamo uno alla volta a casa dell’altro prima di andare a scuola.. e spesso ci telefonavamo la mattina alle 7 con buona pace dei nostri genitori..
A quella strana sensazione di lontananza da tutto.. a quel disagio che si percepiva .. nelle pareti mentali e fisiche di una periferia estrema nella quale in realta’ ci sentivamo forti, consapevoli di avere qualcosa che ci rendeva invincibili.. che altri ragazzi abituati in altre zone non avrebbero avuto..
A noi che gia’ a 14..15 anni conoscevamo la strada, l’uscire la mattina alle 8.30 e tornare la sera direttamente per cena.. stando semplicemente “in giro”…
A me che dopo essermi trasferito per diversi anni continuavo a precisare dove ero vissuto perche’ fondamentalmente sono sempre stato orgoglioso di essere nato e cresciuto la…
A me che dopo un po’ che non abitavo piu’ la… mi si stringeva il cuore a vedere dei ragazzini giocare a calcio non in dei veri giardini … magari in una bella zona ma piena di cemento, di macchine, di negozi, di ostacoli strutturali…Troppo piena di altro per riempire di noi il vuoto…
A me che un milione di pagine non mi basterebbero per raccontare quel periodo di vita che porto ancora dentro…
Musica.. cosa smuovi … !!! 🙂
non conoscevo questo autore… adesso si e mi piace, adesso si! grazie Luca.
Il tema che tiene legato il brano di Frigerio il testo di Mottana e il mio, è molto delicato fondamentale. la vera vita si svolge per strada!!!