Ieri sono andato nell’ennesima libreria storica di Firenze condannata a morte. È una catena nazionale le cui sorti mi erano indifferenti fino a ieri. Poi ho parlato con un commesso che conoscevo, ho letto una bella poesia e ho sentito i libri gridare.
È così, che ho scritto questo.
“(…) ma ora ho intenzione di fare due passi
in questo quartiere quasi silenzioso
che è il mio ritiro invernale, il mio ibernacolo,
e di tenere la mente lontana dalle poesie di altri
anche se sbirceranno dagli alberi
e abbaieranno al mio passaggio travestite da cani del posto”
Billy Collins, Ballistics, 2008.
Chiude anche questa libreria.
Io parlo coi commessi
e sfoglio libri, riviste.
Era una catena nazionale
eppure anche qui qualcosa muore.
Anche adesso.
Piangono i libri
che cambieranno scaffale
viaggiando in sacchetti
forse un poco più scomodi.
Io mi sono seduto
a un tavolino nell’angolo
che non avevo mai notato.
Che bella vista da qua:
alla cassa tutti i libri
si salutano commossi
come a una stazione
e prima dellla porta,
la piazza,
la vita.
Su qualcuno si poserà la penna
su un altro amore bianco
su un altro pipì di gatto
o forse solo altra polvere.
Io che sento i libri gridare
so che qui si farà il silenzio
che accoglie la fine.
Ciò che è certo
è che qui i libri
stavano bene.
Noi come i libri. O i libri come noi.Il mondo come una libreria e/o viceversa. Luogo/ghi in cui STAVAMO bene. Insomma il sentimento della fine o il senso della crisi. Perché no, anche questo un possibile “sottotesto”, a proposito di libri/mondo.
edison?