La casa della paesologia per adesso è una, ma dovrebbe essere in ogni luogo dove ci sia bisogno di issare una bandiera bianca. E’ una e, non a caso, si situa sull’altura di Trevico, il tetto abitato della Campania. Nasce su una montagna, la casa, perché la montagna è la patria delle culture minoritarie, delle minoranze, dei popoli sconfitti. L’economia montana è da sempre subalterna alle ragioni della pianura. Quindi quello di Trevico è un rifugio per i nuovi albigesi, per i celti, per i berberi della modernità. Credo debba includere i dissidenti, i fuorusciti dell’economia di mercato, che è economia di pianura, di velocità e quantità, spesso di sfruttamento.
La casa della paesologia, invece, ama la qualità, il tempo speso bene, fosse pure soltanto un attimo di bene. Quindi è per i contadini e per i poeti, per gli illusi e per quelli senza pretese. E simpatizza per i perdenti, accoglie le persone che sanno essere attente. La montagna della paesologia non vuole essere incantata, perché l’incanto è qualcosa di passivo, che si subisce. Vuole essere umana, solidale. Vuole accogliere chi è disposto alla transumanza in questi antichi tratturi. Non credo ci siano molte altre occasioni come questa. Penso ai giovani della mia Terra, di Grottaminarda e di quel Sud interiore, sconosciuto. Forse abbiamo bisogno di partigiani, in questa epoca di sfiducia, poi di sentieri, strade, esempi. La poesia potrebbe restituirci l’identità smarrita. Seguirebbero anni di schiena dritta.
Trevico è il luogo giusto perché il novanta per cento della popolazione mondiale vive sotto i mille metri. Oppure perché sessanta anni fa contava duemila anime e adesso solo la metà. Trevico è giusto per il suo paesaggio: potete scorgere il Sud che non vedrete sulle riviste: il potentino, il molisano, la Daunia, l’Irpinia, il Sannio. Un Sud che fa meno commercio e meno clamore, che in superficie mostra le sue solite crepe, mentre nasconde, quasi indifferente, i suoi infimi miracoli quotidiani. Potete guardare l’anfiteatro montano dell’Italia interna che disegna un semicerchio dai Picentini al Laceno e Monte Vergine, dal Taburno al Matese. Sono le nostre langhe di Pavese, le periferie di Pasolini. Sono i nostri Giganti della montagna, i contadini di Carlo Levi e Scotellaro.
Forse la montagna, con le sue barriere, i paesi spopolati, col loro perenne inverno di sussistenza, hanno qualcosa da insegnare alla pianura affollata, alla vita di mercato. Questo non vuol dire che la casa della paesologia non debba attecchire in pianura. Vuol dire che la pianura e la città devono guardarsi dentro e imparare quello che possono dalla campagna, dalla montagna. Vuol dire che il Nord dell’Europa dovrebbe fermarsi e riconoscere i pregi del Mediterraneo, non solo i difetti.
Trevico, in mezzo al Mediterraneo, risulta priva di vanità. Sta zitta e prende in faccia gli schiaffi delle nuvole e del vento, le angherie degli esseri umani e quelle del tempo.
Sandro Abruzzese
https://raccontiviandanti.wordpress.com/2015/02/08/trevico-e-la-casa-della-paesologia/
da leggere: Franco Arminio, Geografia commossa dell’Italia interna, ed Bruno Mondadori