L’Italia delle città e l’Italia dei paesi offre visioni disordinate. Le città e i paesi sono quel che erano solo in parti molto piccole, nascoste in mezzo. Il resto è una periferia sfilacciata. È andata così e più o meno ne conosciamo i motivi. Ora ci vorrà molto tempo per ridare ai paesi e alle città una forma che ci piace. Occorre un lavoro a togliere, non ci sono dubbi. E invece si continua ad aggiungere. Il disordine che portiamo fuori è frutto di una società scontenta, astiosa. Andando in giro poco alla volta si capisce che non è solo questione di aver sbagliato il disegno. A essere brutte non sono solo le case. È il nostro stare insieme che non funziona. Basta un prelievo di poche scene, cittadine o paesane, e il risultato è un liquido scuro. Le parole del giorno sono morte il giorno dopo. Ognuno parla da un luogo in cui ha detto addio a tutti gli altri. La società è basata su un diluvio di bugie. Si rimane insieme per diplomazia. I luoghi non ci corrispondono e noi non corrispondiamo ai luoghi. E le vicinanze sono sempre precarie. E un colpo di vento le fa saltare. Si parla tanto di comunità, ma a mala pena riusciamo a contenerci in noi stessi. Emettiamo segnali contrastanti. Gli altri non sanno dove siamo, dove vogliamo andare. È tutto un intreccio di rotte indecise. Solo quando il filo si spezza ci accorgiamo che in fondo qualcosa di quello che stiamo facendo ha un senso. Ci accorgiamo che il segreto è il semplice stare da qualche parte, con quello che c’è, perché è sempre tanto, una collina, un albero, ma anche una macchina parcheggiata, un lampione. Noi tendiamo a posare su tutto i teloni dell’abitudine, però un colpo secco a volte viene da sotto e ci scompiglia, e allora vediamo che tutto è appoggiato provvisoriamente sulla tavola del mondo. Le case, le strade, i nostri pensieri, niente va visto col collare. Il mondo non è una miniatura da girare col trenino. Mentre parlo di paesi so bene che i paesi non sono mai solo la cosa di cui sto parlando, altre correnti attraversano quello che c’è sopra la lingua e quello che c’è sotto. Bisogna soffiare nelle nostre visioni come se fossero piume. E così pure nella nostra carne. Io vivo così, a metà tra me stesso e il paesaggio, vivo nel mio respiro e nel respiro della terra. Non mi importa molto del narrare, ma di precisare il luogo in cui mi trovo, in cui ci troviamo.
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DEDICO QUESTO PEZZO A ELDA E AGLI AMICI CHE HANNO SCELTO COMUNITà PROVVISORIE.
franco arminio
è bello abitare in “comunità provvisorie”, grazie Nanos