“Amo l’incolto, perché non si trova nulla che abbia a che vedere con la morte”. Gille Clèment
di mauro orlando
Leggendo il bel libretto “Manifesto del terzo paesaggio” di Gilles Clèment ho pensato molto alla nostra esperienza paesologica in Irpinia ed oggi alla riprosozione di un “umanesimo delle colline”.Ho pensato perché a “pelle” ci vanno strette le categorie mentali di pubblico-privato, crescita-decrescita, sradicamento-identità, economico-umanistico e quant’altro ha condizionato la nostra cultura tra l’800,il 900 fino ad oggi. Sentivamo la necessità di cambiare il vocabolario,la grammatica e la sintassi ma soprattutto siamo alla ricerca di un punta di vista nuovo che dia senso alla cultura di un territorio antropizzato o naturale al difuori dei paradossi o dei radicalismi identitari ed etnici. Di fatto ci eravamo accorti che al di là dello spirito apprezzabile e degno la letteratura ,la filosofia e le moderne scienze umane e sociali risultavano inadeguate ad una esperienza originale ,autentica e nuova per i nostri e altri territori che la storia, la politica e la cultura li aveva adagiati nella rabbia passiva del rancore,livore e del’autismo individuale e corale.Il “terzo paesaggio” come frammento indeciso, libero,provvisorio di un “giardinio planetario e mondializzato” andava al di là della intelligente metafora tra naturale ed artificiale, tra il “tutto e la parte”, tra “il centro e la periferia soprattutto da un punto di vista conoscitivo ed esistenziale. Sapere a cui aspira anche l’arreso provvisorio sapere paesologico. I piccoli paesi dell’appennino italiano hanno subito dalla storia e dalla politca questo paradossale privilegio di abbandono lasciando provvidamente alla natura e alla benevolenza umana l’evoluzione del paesaggio e dei luoghi sospendendo i danni di una attività umana che si sviluppava secondo i criteri dell’ottimismo dell’industrializzazione fordista e la depressione della finanziarizzazione e conomica.Nei nostri “terzi paesaggi” si è alimentato una “diversità” come rifugio e sopravvivenza di ‘specie’ che altrove sono omologate o contagiate e qui conservono la possibilità di coltivare “lo stupore” con cui guardare rapportarsi alla natura non come mezzo ma come il semplice fine di scoprire di farne parte. Le piante che vegetano in condizioni ostili, compaiono senza preavviso, crescono inaspettatamente e poi muoiono in un luogo per rinascere a pochi metri, sono da sempre una figura chiave della métis: metafore di un’astuzia lontana dalla razionalità lineare, prevedibile e acquietante di tanta parte del pensiero moderno.
ecco alcune eccellenti ed indicative considerazioni tratte dal testo “Manifesto del terzo paesaggio“ di Gilles Clèment, ed Quodlibet……
“……. Elevare l’indecisione fino a conferirle dignità politica. Porla in equilibrio col potere. “Considerare la non organizzazione come un principio vitale grazie al quale ogni organizzazione si lascia attraversa dai lampi della vita. Avvicinarsi alla diversità con stupore. Considerare la mescolanza planetaria – meccanica inerente al terzo paesaggio – come un motore dell’evoluzione. Presentare il terzo paesaggio, frammento indeciso del Giardino planetario, non come un bene patrimoniale, ma come uno spazio comune dl futuro. Elevare l’improduttività fino a conferirle dignità politica. Proteggere i siti toccati da credenze come un territorio indispensabile per l’errare dello spirito. Confrontare l’ipotesi con altre culture del pianeta, specialmente quelle culture i cui fondamenti poggiano su un legame di fusione tra l’uomo e la natura”.
“Le piante viaggiano. Le erbe, soprattutto. Si spostano in silenzio, come i venti. Non si può nulla contro il vento. Se si mietessero le nuvole, si sarebbe sorpresi di raccogliere sementi imprevedibili mescolate al loess, polveri fertili. Già nel cielo si disegnano paesaggi impensabili. L’evoluzione ne ha i suoi vantaggi, ma la società no. Il più umile progetto di gestione si scontra con il calendario della programmazione: ordinare, gerarchizzare, tassare, quando tutto può cambiare in un attimo. Come mantenere il paesaggio, quale griglia tecnocratica applicare alle intemperanze della natura, alla sua violenza? Il progetto di controllo totale trova degli alleati inattesi: i radicali dell’ecologia e i nostalgici. Niente deve cambiare, è in gioco il nostro passato; oppure, niente deve cambiare, è in gioco la biodiversità. Tutti contro il vagabondaggio!”, così scrive Gilles Clément.
Bellissimo.
Propongo un accostamento di due parole: Incolto e Incontro. Come momento che prepara la natura nel primo caso e l’uomo nel secondo, al tutto, attraverso il particolare, l’unità, quell’elemento di realtà, tangibile, che già esiste davanti a noi prima d’esser percepito, e a cui seguono la fioritura, l’Altro.
a proposito di paesaggio, seguite sul corriere del mezzogiorno le prese di posizione, da parte dei più influenti intellettuali campani, su franco arminio e la paesologia
Gentile Mauro Orlando,
in riferimento a questo bellissimo post le rispondo invitandola al semiario “Antropologia del Terzo paesaggio”: la passione per questo concetto ci unisce!
sarebbe un onore averla tra noi. Ci sarà anche l’installazione di una artista cagliaritana….
Ho postato nella pagina FB “comunità Provvisorie” la locandina della giornata,
Ci troveremo a Firenze il 13 aprile, presso la Fac di Sc. della Formazione, via laura 48, ma troverò altre info alla pagina FB “Antropologia del Terzo paesaggio”.
cordialissimi saluti
nadia breda
Vi seguo da sempre, la paesologia é ispiratrice nel Sentiero Umano… tracciamo un nuovo “sentiero” insime, teniamoci per mano. http://www.sentieroumano.it