CI HANNO RUBATO IL VENTO

Quando è uscito Controvento, ultimo libro di Antonello Caporale, ho pensato che era un’ottima occasione per aprire un dibattito in Irpinia sul tema trattata dal libro: non l’energia eolica, ma il modo in cui è stato avviato e continua ad andare avanti il suo sfruttamento. Sono passati molti mesi senza che si muovesse una foglia, insomma Controvento si è trovato di fronte il vento della rassegnazione e della sfiducia: nessuna iniziativa nei paesi dell’Irpinia d’Oriente, che ormai è la capitale nazionale per questo tipo di attività.

Sarò con piacere domenica a Lacedonia assieme a Caporale per parlare del suo libro. E spero che ci sia qualche sindaco, qualche consigliere comunale dei paesi vicini, oltre che qualche militante del bene comune.

In effetti il libro di Antonello mette sotto accusa proprio gli amministratori locali. Si sono accontentati di una pensione collettiva, piuttosto che provare l’avventura di investire direttamente sull’eolico. In altre zone chi lo ha fatto e lo sta facendo non si può dire che se la passi male. Si trattava solo di avere coraggio e questo coraggio non c’è stato.

L’incontro di Lacedonia è importante perché la partita non è chiusa e ora più che mai non può essere declinata secondo lo schema iniziale che abbiamo vissuto in queste zone: pro o contro le pale. La questione sembrava più che altro estetica. Invece di chiederci se le pale sono belle o brutte, è il caso di chiedersi: chi le ha messe, che cosa ci guadagna, cosa possono fare le comunità locali per entrare in questa processo?

Il libro di Antonello Caporale affronta la tematica focalizzando alcune storie, nessuna delle quali è irpina, è questo forse è un picolo neo, perché ormai la nostra zona ha acquisito un ruolo di assoluto rilievo nel panorama nazionale. Non ce ne siamo accorti, ma sull’altopiano del Formicoso ci sono due grandi fabbriche, quella antica, del pane, e quella nuovissima, del vento. Il fatturato che viene dal vento è enormemente superiore a quella del pane, ma è fondamentale che le due realtà continuino a convivere.

Quello che non può continuare è l’indecente quantità di denaro che i padroni delle pale destinano alle comunità locali: praticamente una piccola mancia. Si può dire che viviamo in un’economia coloniale e domenica a Lacedonia proveremo a farlo intendere. I cittadini devono assolutamente rivendicare che tutte le scelte relative allo sfruttamento dell’energia eolica avvengano con una maggiore partecipazione democratica. Si può decidere qualsiasi cosa, ma si deve farlo informando debitamente la popolazione.

Proprio in questi giorni a Bisaccia è venuta fuori la protesta di molti cittadini per la decisione dell’Amministrazione di approvare un progetto della Terna di far passare l’elettrodotto per molti chilometri nel territorio comunale con un ristoro economico che forse non bilancia i rischi che l’opera comporta.

Difficile immaginare di dire no e basta all’elettrodotto, ma sarebbe il caso che l’amministrazione riveda la sua decisione e consulti quanto prima i cittadini con un’assemblea pubblica. La cosa che sconcerta in questa materia è che i sindaci si lamentino di non avere strumenti per contrastare gli interessi delle ditte private, però non fanno quasi mai ricorso al loro unico e prezioso alleato: i cittadini del proprio comune. È con una forte spinta collettiva che si possono rimettere in discussione tante cose. Speriamo che questa spinta arrivi domenica da Lacedonia.

franco arminio, da il mattino del 14 aprile 2011

l’appuntamento a lacedonia è domani alle18.00

6 pensieri riguardo “CI HANNO RUBATO IL VENTO

  1. Il quesito da porsi è se sia necessario – come io ritengo – stabilire un limite al consumo del paesaggio ed anche del suolo conseguente alla installazione delle torri eoliche. Ecco se si discute di quali criteri accettare per darsi questo limite si intraprende una strada difficile ma giusta per il nostro futuro; se invece si sposta la rivendicazione – non sul bello o brutto che è una cazzata – sulla necessità che i comuni debbono entrare nella spartizione della torta speculativa impastata dai palazzinari del vento, allora si perpetua similmente la strada fasulla – al giudizio della storia – dell’industrializzazione fuori contesto del post terremoto.

  2. luca, “stabilire un limite” non è il quesito che aiuta a trovare una soluzione.
    A me pare la traduzione – in termini illusoriamente quantitativi – dei problemi (anche estetici) che pretende di superare. Chi e in base a cosa stabilisce il limite?

    per la verità, neanche l’approccio di franco mi convince. se la democrazia diventa il tavolo in cui ogni comunità – su base esclusivamente territoriale – pretende di negoziare il proprio contributo al contratto statuale stiamo freschi.
    Non mi piace il nimby ma neanche la sua versione furba di monetizzare un (vero o supposto) “sacrificio”.

    Penso che il tema dei beni comuni (e della loro gestione in mano pubblica) sia un tema necessariamente ‘globale’, e come tale utile a rafforzare un sentimento di appartenenza ad un destino collettivo.
    La paesologia deve stare qui, altrimenti diventa una specie di sindacato dei paesi (sin.pa. ….).

  3. Buongiorno Franco,
    seguo con piacere il blog e le tue tante e credo belle iniziative come quella nella quale sono venuto a conoscerti a Bisaccia (Terrascritta) e della quale conservo l’emozione del cercare Contrada Serrone e di aspettare seduto al sole l’arrivo tuo e dei convitati. Leggo questa mattina che ti interessa discutere dell’Eolico a tale proposito se hai voglia e tempo ti segnalo il mio sito http://www.citronet.it (purtroppo fermo da anni) ci troverai un pamphlet (scaricabile in pdf) alquanto datato poichè scritto nel 2007 (quando l’eolico cominciò a girandolare sulle nostre colline) dal titolo: Controvento. Niente di letterario una riflessione di testa e di stomaco su quanto stava avvenendo e tentare di spigarcene il perchè.
    Un cordialissimo saluto e un ventoso in bocca al lupo per il proseguo della paesologia.
    A presto Giovanni

  4. ho assistito alla presentazione del libro di caporale ieri a salerno, in una libreria einaudi gremita e attenta, che con franco arminio, isaia sales e pino aprile ha dato luogo a una conferenza densa e stimolantissima, grazie agli interventi di questi 4 di cui sopra. davvero un grande momento di politica e cultura, come nei migliori auspici della c. p.

  5. L’allarme è stato lanciato più volte da una parte dell’associazionismo ambientalista (non quello delle tessere e di supporto ai partiti politici sinistrorsi evidentemente) e da una miriade di comitati locali, per gli incentivi mal gestiti e fuori misura per l’eolico ed il fotovoltaico a terra, che col passare del tempo hanno finito col pesare ingiustamente sulle bollette dei cittadini e delle imprese, hanno permesso infiltrazioni della malavita organizzata nel settore dell’eolico e hanno contribuito alla inutile devastazione di troppi preziosi paesaggi italiani.Gli incentivi concessi fin qui hanno favorito una espansione del fotovoltaico così imponente da permettere al nostro paese di raggiungere i traguardi indicati dall’Europa con ben otto anni di anticipo; dunque nulla vieterebbe di procedere alla soppressione o almeno a un radicale ridimensionamento degli incentivi all’eolico, divenuti evidentemente super flui, insieme a una più rigorosa e restrittiva identificazione dei siti adatti a ospitarne gli impianti, in analogia col recente provvedimento per l’esclusione degli incentivi ai pannelli fotovoltaici installati sui suoli agricoli.
    Questa sarebbe una misura veramente coerente con la necessita di equilibrare la politica energetica italiana tra efficienza e rinnovabili (ovviamente non solo quelle destinate all’elettricità ma soprattutto quelle destinate alla produzione di calore),anche considerando l’inaccettabile squilibrio tra costi e benefici della produzione di energia dal vento. Infatti, se da un lato è indubbio che la comparsa, lungo i crinali delle nostre colline o in luoghi adiacenti a monumenti di rilevanza storica e artistica, di centinaia di enormi aerogeneratori, provochi una radicale e irreversibile alterazione dei valori identitari, culturali, estetici del paesaggio italiano, dall’altra il loro contributo alla soluzione del problema energetico rimane e sempre rimarrà irrilevante, vista la bassa ventosità media dei siti italiani, equivalente ad appena 1500 ore l’anno (a fronte delle 2000 ore ritenute indispensabili in Europa per rendere competitivi gli impianti eolici).
    Mi pare che le condizioni di partenza per capire come stabilire la cornice del limite e quale questa deve essere è evidente. Quanti aereogeneratori può sopportare il nostro paesaggio ? Quanta energia per gli usi finali (e non quella installata che non significa nulla) può essere recepita dalle nostra rete di distribuzione ? Quanti costi esterni negativi devono sopportare le comunità locali ? e perchè non vengono calcolati ? Quante zone del nostro paesaggio possono ospitare pale eoliche capaci di produrre energia che produce reddito positivo per l’impresa a prescindere da incentivi statali ? Perchè un Piano provinciale di coordinamento territoriale non mette al centro la questione della localizzazione di tali impianti ? Resta un dato, per tornare all’Irpinia, ma a tutto l’Appennino, i territori sono già stati devastati dai palazzinari della green economy.

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