avere di più essere di meno

metto qui un mio pezzo uscito oggi sulla prima del manifesto.
oggi è un giorno importante per la paesologia. il nostro ragionamento sui luoghi dialoga col massimo esponente europeo delle politiche orientate ai luoghi.
ieri sera parlando con fabrizio barca mi sono reso conto di quanto sia avanzata questa nostra esperienza e dell’accoglienza a cui andrà incontro (ma non c’è pericolo di cedimenti alle lusinghe del potere, in questo barca è un bell’esempio).
spero che gli amici vecchi e nuovi vogliano sostenere questo sforzo per far conoscere il blog della paesologia nel caos della rete.

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La parola più citata dalla politica è la parola crescita. Ormai viene pronunciata a ripetizione, come negli esercizi spirituali buddisti. In una società che alla sua crisi sa opporre solo questa parola non bisogna poi stupirsi che viene fuori la bulimia dei politicanti alla Fiorito che l’ossessione della crescita la prendono alla lettera e fanno di tutto per accrescere il loro patrimonio.
In un certo senso viviamo tutti ammassati in un piccolo campo di concentramento in cui vige una sola legge, quella dell’accumulo. Possono essere poltrone, benefit, amori, successi, fallimenti, il principio ispiratore della dilagante miseria spirituale è sempre quello: avere di più, essere di meno.
La crescita che viene evocata ovviamente è solo quella dei consumi. Vendere più automobili significa avere più gatti morti per le strade, più aria sporca e più rumori, ma questo non sembra preoccupare nessuno. La politica col governo tecnico è andata in cassa integrazione. È entrata in depressione e non lo sa. Non sa allearsi e non sa scontrarsi sulle scelte di fondo. Ci sono contese puramente verbali, come quelle che vediamo in televisione. È il trionfo dell’agonia ciarliera, dell’autismo corale.
Purtroppo questa scena non riguarda solo una minoranza di malati, è tutta la società italiana che è depressa. Ogni persona, oltre alla depressione che gli può venire dalle vicende della sua vita e del suo corpo, è come se partecipasse al dividendo quotidiano della depressione collettiva. Siamo tutti azionisti dell’impotenza, militanti della scontento.
In uno scenario di questo tipo ha poco senso allinearsi su falsi dilemmi: crescita-decrescita, politica-antipolitica. Quello che possiamo fare è dare attenzione ai nostri luoghi, essere fedeli alle nostre passioni. Non è affatto un programma minimo ed è un programma che tiene insieme tensioni intime e tensioni civili.
È in questa logica che col Gal Cilsi abbiamo chiamato in Irpinia il ministro Fabrizio Barca che Sabato a Lioni verrà a parlare con me del sud e dei luoghi. Bisogna costruire situazioni fuori dal colluttorio opinionistico che ci passiamo di bocca in bocca. Il sud non ha bisogno di chiacchiere sul sud, deve guardarsi dai suoi nemici, ma anche dai compiacimenti, dalle comparizie. Con Barca proveremo a discutere di quel che si può fare adesso, coi soldi che ci sono, con le persone che ci sono.
La lezione di questi anni è che quando arrivano solo i soldi il sud si guasta, cancella i suoi paesaggi inoperosi, i tempi vuoti, i silenzi. Il sud ha bisogno di lavoro per essere curato, per essere aiutato a essere quello che è e non una brutta copia del nord. Il sud ha bisogno che i suoi ragazzi migliori non vadano via e che arrivino nuovi residenti da altri luoghi dell’Italia e dell’Europa. Il sud può diventare un grande esperimento per uscire dal capitalismo inventando una società che sia dolce e democratica, colta e solidale. Da qualche parte del mondo deve pur arrivare un soffio nuovo. Perché questa parte non potrebbe essere il sud dove è nato il pensiero occidentale?
Ci serve un filo di umiltà per capire che non ci sono soluzioni garantite, ma ci servono anche scatti immaginativi per non considerare le strade battute le uniche che possiamo percorrere.
Stare a sud, starci dentro non per fare la manutenzione del vittimismo, ma per allestire la sagra del futuro. Bisogna fare un buon uso dell’epoca depressa che ci è toccata, inutile portarle il broncio. Continuare a dare attenzione ai luoghi in cui viviamo sembra poco e invece è un bell’esercizio di salute morale che fa crescere tante cose e avvia la decrescita della sfiducia e dell’impotenza.

Pubblicato da Arminio

Nato a Bisaccia è maestro elementare, poeta e fondatore della paesologia. Collabora con “il Manifesto”, e "il Fatto quotidiano". È animatore di battaglie civili e organizzatore di eventi culturali: Altura, Composita, Cairano 7x, il festival paesologico ""La luna e i calanchi"". Da molti anni partecipa a innumerevoli manifestazioni sulle problematiche dei territori. Recentemente ha avviato scuole di paesologia (ne ha già svolto una decina in ogni parte d’Italia). In rete è animatore del blog Comunità provvisorie. E' sposato e ha due figli.

Una opinione su "avere di più essere di meno"

  1. Caro Franco,
    condivido e cerco di diffondere tra i miei amici i tuoi pensieri, perché davvero “moderni”, capaci di traguardare il presente. Quest’articolo, proprio perché tale, con la sua immediatezza, offre degli spunti pratici davvero notevoli.
    Una cosa mi lascia perplesso, quando parli dei falsi dilemmi: perché sulla falsa antinomia politica-antipolitica sono d’accordo, ma non riesco a seguirti sull’antitesi crescita-decrescita.
    Sono giunto alle tue letture da circa tre mesi, partendo da una lettura su Giustino Fortunato, passando per Serge Latouche e Franco Cassano. Francamente non riesco a non inquadrare il concetto dell’Umanesimo della Montagna in quell’ampio ventaglio di possibilità reali che ha l’uomo per evitare il collasso e che Latouche chiama decrescita. Sono d’accordo che da un punto di vista formale, semantico, l’antinomia non c’è – ovvero in un mondo in cui a tutto e tutti fosse riconosciuto il proprio valore e si vivesse a partire da quest’atto di coscienza, allora crescita e decrescita si annullerebbero diventando un unico concetto positivo – ma, da un punto di vista reale la dicotomia c’è, anche sostituendo al concetto di decrescita direttamente quello di umanesimo della montagna. E dunque un allineamento su queste idee secondo me è auspicabile, bisogna essere partigiani per ridare dignità al sud attraverso il grande esperimento di cui parli.
    Voi cosa ne pensate?

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